Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Il punto di fuga sta nell'oblio della tempesta. Impossibile dire con esattezza cosa indichi, ma non è certo una scappatoia: semmai, la via più rapida verso il buio eterno. Benché lo spunto provenga da Nietzsche, The Turin Horse somiglia più all'ultimo pronipote possibile del Balthazar bressoniano: poco cambia se quello era un ciuco, perché in questi occhi altrettanto equini è scritto lo stesso destino infausto. Tarr sosta a un attimo dalla Fine: vuole concedere un'ultima ricognizione umana prima che ogni spirito venga risucchiato per sempre in un antitetico Big Bang, entità che il Cinema era raramente riuscito a (non) illustrare con vigore così devastante. Su un atollo terrestre più indefinito che mai gli ultimi naufraghi si lasciano guidare dall'inerzia nel consumare gli ultimi ritagli di esistenza, mentre il sentore apocalittico di cui lo scenario è già pregno si propaga oltre lo schermo con la fatalità di una metastasi divina. Dolore e paura non dimorano più qui: l'unica presa di coscienza possibile si è pacificamente sovrapposta all'idea della resa. Punti di sospensione, poi spazio all'ultimo dei destini. Probabilmente anche l'uomo un giorno si affaccerà ai titoli di coda dopo una glaciale dissolvenza sul nero. Opera da infliggersi assolutamente, nella speranza che lo sguardo di Tarr possa contagiare con quella lucidità di cui ognuno dovrebbe illuminarsi almeno una volta nella vita, per vedersi proiettato contro l'universo in tutta la sua rivelante infinitesimalità.
Solenne e impietosa: gli ultimi fuochi della nostra specie.
esemplare
divino
perfetto
ottimo
la sofferenza incarnata. Magnifica
da brividi
il più indimenticabile
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