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Almanya - La mia famiglia va in Germania

Regia di Yasemin Samdereli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Almanya - La mia famiglia va in Germania

di laulilla
6 stelle

Un film grazioso – accolto calorosamente al festival di Berlino del 2011 – che affronta il tema caldissimo, allora come oggi, dell’emigrazione. Lo fa con serietà, e insieme con leggerezza, raccontando, in modo parzialmente autobiografico, (la regista è immigrata turca di terza generazione), la piccola storia di immigrazione della sua famiglia.

 

Si chiama Hüseyin Yilmaz (Vedat Erincin e Fahry Yardim interpretano lo stesso ruolo: Junior e Senior), il capofamiglia che da giovane aveva deciso di spostarsi dalla Turchia alla Germania, per trovare lavoro, con l’intenzione di ricongiungersi, una volta sistemato, ai suoi cari: la moglie Fatma  (Lilay Huser Jr – Demet Gül Sr) e i suoi figli ancora piccoli.

 

Il viaggio, la nostalgia, il ritorno, dopo qualche anno di lontananza, al paese d’origine; la decisione di trasferire in Germania tutta la famiglia, per tenerla unita (al suo ritorno il figlio ultimo nato non era stato più in grado di riconoscerlo); la riluttanza dei bambini a lasciare amici e abitudini; l’alloggio tedesco in un casermone periferico, la pioggia, il grigiore del paesaggio nordico: tutto quanto, insomma, sia capace di evocare il distacco doloroso dai luoghi cari della propria terra, viene narrato da Yasemin Samdereli con commozione amara, cui si mescola però, con armonico equilibrio, l’aneddoto buffo, il pregiudizio un po’ ridicolo, cosicché il film non assume mai, neppure nei momenti in cui la commozione sembrerebbe prevalere, toni troppo drammatici. L’equilibrio del racconto stempera infatti il dolore dei ricordi più difficili, presenti in ogni dolorosa separazione dai luoghi e dalle persone, in un tono medio che rende gradevole la visione.

 

Hüseyin Yilmaz non sarebbe riuscito a pronunciare il discorso, riservato al lavoratore “numero un milione e uno” che era arrivato in Germania da uno stato molto più povero, ma il nipotino, Cenk, che a scuola aveva fatto a botte per difendere la sua appartenenza alla terra del nonno, avrebbe parlato al posto suo, di fronte a una divertita platea di importanti personaggi, fra cui nientemeno che il cancelliere Angela Merkel.

 

L’integrazione avvenuta, la cittadinanza sospirata, per tutti i componenti della grande famiglia di Hüseyin – ormai da tre generazioni in Germania – significa anche riconoscimento delle proprie origini e rispetto del proprio passato.

 

L’ultima velleitaria parte del film stona coll’equilibrio miracoloso, che ci aveva fatto stare bene all’inizio e che continuiamo a conservare nel cuore: validissimo invito a riflettere e a meditare sul presente, essendo ancora troppo violento, nel nostro paese, il rifiuto di accogliere, con civiltà e umanità, gli immigrati, che non sono solo braccia da lavoro,  ma uomini in carne e ossa, come il film ci ha esplicitamente ricordato.

 

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