Regia di Henry King vedi scheda film
Sceneggiato da Edmund Goulding e H. King da un racconto (1919) di Joseph Hergesheimer pubblicato nel 1919 sul “Saturady Evening Post”, questa “dichiarata” variazione sul tema di Davide e Golia è uno dei migliori film hollywoodiani dell’epoca del muto e l’incontestabile capolavoro del cinema di derivazione griffithiana (F. Savio).
Sappiamo, da “L’avventurosa storia del cinema americano” di Jacobs, che Tol’Able David, non era stata certamente considerata una pellicola “di punta” per il mercato cinematografico di quegli anni (già l’argomento della storia non faceva probabilmente immaginare alla produzione un ritorno fortemente remunerativo nel campo degli incassi). Buttato così allo sbaraglio quasi in sordina, il film fu proiettato in sala con scarsissima pubblicità “preparatoria” nel 1921 di fronte a un pubblico in teoria interessato a ben altre emozioni e certamente “impreparato” a confrontarsi con la semplicità dell’assunto, ma il miracolo avvenne immediatamente, perché fu da subito accolto anche dalle masse popolari (e non solo dalla critica dunque) come un vero e proprio “capolavoro”. Le sale si riempirono sempre di più perché tutti accorrevano con entusiasmo a vedere questo “disadorno”, sincero e commovente racconto sulla vita di provincia del Sud, dove guidato da un regista quasi esordiente, Richard Barthelmess (che con questo ruolo raggiunse la fama e la notorietà del divo), dava vita a quello che sarebbe rimasto davvero il personaggio più compiuto dell’intera sua carriera, quello di un povero ragazzo di montagna, considerato debole per il suo carattere ombroso e schivo, che riesce a sgominare una banda di malviventi e ad assicurarsi il posto ambito di conducente di diligenza nella sua terra, la Virginia.
Non so se ci fossero state proiezioni precedenti di un certo rilievo, ma il recupero ufficiale di questa straordinaria pellicola qui in Italia avvenne nel 1955, quando fu presentata alla Mostra di Venezia di quell’anno nella sezione “retrospettiva", e fu subito “amore a prima vista”, tanto che la presentazione al Lido diventò un evento davvero eccezionale e di vasta risonanza, che fece scrivere a Fausto Montesanti su “Bianco e nero” n° 9-10 del 1955: Il film più importante di tutta la retrospettiva e – a parte “Ordet” di Dreyer – forse di tutta la Mostra di Venezia, è stato il mirabile “Tol’Able David” di Henry King, che non teme di indicare nella forma le nobili matrici che lo hanno guidato, ma dove l’afflato umanitario, il moralismo, il minuto realismo di Griffith a cui con assoluta evidenza si ispira e da cui trae linfa vitale, sono emendati da ogni manierismo e rimessi a nuovo con effetti di incantevole freschezza.
Ammirevole nell’uso espressivo del paesaggio e nell’efficace impiego del materiale plastico, Tol’Able David fu certamente concepito in un momento di particolare euforia industriale del cinema hollywoodiano in espansione (e forse fu possibile realizzarlo per una “provvidenziale” momentanea “disattenzione” dei produttori dovuta alla grande vitalità del cinema che si concretizzava con crescente potenza, e alla conseguente necessità di disporre – senza andare troppo per il sottile nella valutazione dei progetti - di sempre maggiore materiale da dare in pasto alle folle plaudenti: sono quelli infatti gli anni aurei del muto in cui von Stroheim - in attesa di dirigere Greed – può ancora “permettersi” di dettare legge alla Universal, e Griffith riesce a imporre e a dirigere i suoi ultimi capolavori prima di venire completamente assorbito anche lui dalla implacabile macchina commerciale del profitto che stritola spesso l’artista e lo “neutralizza” annullando ogni sua effettiva capacità davvero “propositiva”. Era soprattutto il periodo in cui iniziarono la loro attività per una consistente “apertura di credito” delle produzioni, artisti del calibro di von Sternberg e Flaherty, mentre raggiungevano gli studi della California direttamente dall’Europa, Lubitsch e Sjöström, Leni e Murnau (e si trattava ancora della punta di un iceberg creativo di inusitate proporzioni) che resero fattivamente eccezionale (e purtroppo non più riproponibile) un’era densa di qualità, di emozioni e di proposte che fecero davvero diventare Hollywood il fantastico “mondo dei sogni” e dell’inventiva, unendo indissolubilmente spregiudicatezza, talento e capitali..
Il film realizzato da Henry King è uno dei pochi film americani dell’epoca – al di fuori del filone “western” vero e proprio (ma taluni tendono a considerare nella stretta e scomoda categoria del “genere” anche questo titolo) – in cui si presta particolare attenzione e si descrive con attenta connotazione anche storica, la patriarcale vita della provincia meridionale e l’atmosfera caratteristica delle campagne del Sud.
La genuina materia su cui si basa la semplicissima storia di un bravo ragazzo timido e inesperto (il classico tipo dell’”his mother’s boy” o “cocco di mamma” che dir si voglia, insomma), che arriva a rischiare la propria vita per opporsi ai soprusi e ai minacciosi pericoli affrontando in una drammaticissima lotta “all’ultimo sangue” la prepotente invadenza dei classicissimi “cattivi” in eccedenza numerica riuscendo così non solo a riscattarsi, ma anche a salvare i suoi cari e la sua terra dalla nefasta intrusione di una banda di malvagi malviventi, fu certo l’elemento che più di ogni altro conquistò il pubblico (e che decretò l’eccezionale successo del film), nonostante la concorrenza della più acclamata e “pompata” produzione di quegli anni mille volte più densa di vicende sensazionali, di amori peccaminosi e di ben più faraonici sfarzi produttivi.
Aspetto certamente sostanziale questo se ci si limitasse semplicemente a rapportarsi (anche nella valutazione) agli anni in cui il film vide la luce. E’ clamoroso però il fatto che ci sono invece aspetti non secondari che rendono ancora oggi – a così tanti anni di distanza – di estremo e assoluto interesse la pellicola, il che conferma il valore “innovativo” di un risultato che deve il suo successo e il meritato riconoscimento tributatogli, alla serietà della struttura e dell’impianto, ineccepibile dal punto di vista formale, e stilisticamente improntata ad un vigoroso e spoglio realismo (per certi versi anche abbastanza “crudo”) direttamente mutuato per “reinventarlo”, dalle migliori prove realizzate in tale direzione e prospettiva dai Maestri americani che avevano già battuto la stessa strada in precedenza: non solo Griffith però (che si era per altro anche personalmente interessato al soggetto), ma anche Porter e Ince. Una modalità di rappresentazione dunque ancora “tutta americana” nella sostanza e totalmente esente dai successivi influssi di matrice ”europea” dovuti all’approdo in massa di quei tanti nomi illustri che – anche per ragioni di carattere politico – trovarono asilo e lavoro al di là dell’oceano e in qualche modo contaminarono col loro ingegno non solo la “forma” ma anche i “contenuti”.
Quel che meraviglia (e incanta) ancora oggi è dunque principalmente lo straordinario e completo raggiungimento di un risultato espressivo e di narrazione di assoluta coerenza, ottenuto con un apporto davvero minimale di mezzi tecnici (anzi, è proprio la sbalorditiva e costante assenza di ogni tipo di tecnicismo a strabiliare maggiormente). La chiara, accurata e – ribadisco - mai ricercata fotografia davvero magnifica nei luminosi esterni (non così facilmente realizzabili con la tecnologia pionieristica dell’illuminotecnica dell’epoca) e nei morbidi e più soffusi contrasti chiaroscurati degli interni, l’avveduta sapienza con cui il racconto viene articolato attraverso una serie di inquadrature fisse (senza alcun movimento di macchina, intendo, segno evidente di uno straordinario lavoro di “montaggio” interno al fotogramma), la freschezza della recitazione molto meno “caricata” della norma, la spontaneità incisiva dei personaggi (non solo delle figure di primo piano, ma anche di quelle secondarie tutte perfettamente messe a fuoco), l’autenticità e il gusto dell’ambientazione, l’apporto paesaggistico non solo in funzione decorativa, ma anche di vera e propria “narrazione” dello sfondo scenografico delle riprese e la lineare essenzialità della trama il cui interesse – nonostante la mancanza di clamorosi colpi di scena – non viene mai meno neppure per un istante, sono dunque gli elementi vitali che rendono Tol’Able David davvero uno dei più ragguardevoli esempi (e risultati) del cinema “silenzioso” (così qualcuno amava definire il periodo del muto) ed uno dei più interessanti e “compiuti” film della storia pionieristica (e non solo) del cinema americano.
Uno dei massimi pregi del film, come notò Pudovkin , che lo analizzò minuziosamente e spesso lo citò nella sua opera teorica “La settima arte” riportandone intere sequenze come dimostrazioni di linguaggio esemplare (e tutti sanno quanto i sovietici abbiano appreso da quel periodo di “generose” scoperte soprattutto sul piano del linguaggio, proprio da ciò che venneo prodotto in America nel periodo che va dal 1910 al 1921), è proprio la qualità della creazione in forma cinematografica dell’ambiente che circonda i personaggi e fa da cornice all’azione.
E senza dubbio, King nel film è riuscito ad esprimersi con una accurata scelta dei particolari e un sensibile uso del paesaggio in funzione espressiva davvero inusuale: la materia è stata utilizzata e distribuita con una finezza rara nel cinema americano di quei tempi dentro una sceneggiatura praticamente perfetta e di mirabile scorrevolezza. (P. Rotha)
Si può allora persino affermare che Tol’Able David rappresenta il massimo punto di arrivo di una tradizione e di un percorso e anche – per quanto firmata da un “minore” ma solo perché rimarrà una purtroppo isolata perla in uno sbracamento sempre più accentuato verso una artigianalità un po’ dozzinale che è poi il difetto principale che inficerà tutta la produzione successiva del regista - l’opera più tipica e per certi aspetti persino la più completa, di un’intera “scuola” esclusivamente americana, il cui capostipite rimane sempre, come si sa, il grande Griffith. (Fausto Montesanti).
Sembrerà paradossale, allora, ma purtroppo dopo la pienezza di un tale risultato così eclatante, il cinema americano “muto” non riuscirà più ad essere altrettanto grande, quasi come se avesse esaurito con quest’opera la funzione stimolatrice e di avanguardia che aveva caratterizzato tutto il periodo precedente: da questo momento in poi e dopo aver aperto le porte agli ingegni stranieri, sarà proprio attraverso il loro talentoso contributo che raggiungerà i maggiori risultati di prestigio artistico, con un linguaggio e una maniera di rappresentazione fortemente influenzata dall’eco “europeistico” derivato soprattutto dai capolavori svedesi e tedeschi.
Il protagonista assoluto della pellicola è Richard Selmer Barthelmess (9 maggio1895 – 17 agosto 1963).
Figlio di una nota attrice teatrale, dopo aver preso parte a numerose recite di dilettanti, fu avviato al cinema giovanissimo, grazie all’interessamento di una famosa attrice di origine russa, Alla Nazimova, che aveva imparato l’inglese proprio grazie alle lezioni impartite dalla madre di Richard.
Il suo esordio sullo schermo avvenne nel 1916 con Gloria’s Romance, un “serial” in venti episodi e lo stesso anno ottenne al sua prima parte di rilievo in War Brides di H. Brendon accanto alla stessa Nazimova.
Dopo due anni di intensa attività cinematografica, notato da Griffith – che proprio allora aveva fondato con Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin e Mary Pickford la United Artists – fu scelto come protagonista maschile di Broken Blossoms (Giglio infranto, 1919) in cui interpretò con sensibilità, accanto0 a Lillian Gish, la parte di un giovane cinese, il cui desolato destino si compiva tra le nebbie londinesi. Il suo particolare stile recitativo, che univa indissolubilmente spontaneo candore e malinconica fragilità – taluni critici ci hanno visto in lui una anticipazione del Barrault dei Les enfants du Paradis di Carné – lo rese caro al pubblico e soddisfece il regista che lo aveva diretto che lo riconfermà, nel 1920, quale interprete di Way Down East (Agonia sui ghiacci) sempre accanto alla Gish, in The Idol danger (L’idolo danzante) e in The Love Flower (Il fiore dell’isola).
L’anno successivo, sotto la guida di Jenry King, dava vita al suo personaggio più compiuto quello chew gli avrebbe assicurato imperitura fama, in Tol’Able David. Il successo del film promosse l’attore al rango di star (inl numero medio delle lettere che gli arrivava mensilmente dalle sue ammiratrici è valutabile intorno alle seimila copie) ma nonostante questo, la sua carriera si sviluppò evitando il cliché e si orientò verso personaggi molto differenti rispetto a quello che gli aveva dato la fama, talora avventurosi, ma più frequentemente sentimentali e romantici particolarmente confacenti alla sua struttura fisica e ai suoi dati somatici. Attore squisito, dotato di un tenero e disarmante sorriso, fu per circa quindici anni popolarissimo prendendo parte a decine di pellicole. Fra i titoli più noti, ricordo Experience (Giovinezza, 1921) di G. Fitzmaurice; The Bondboy (Lo schiavo, 1922) di Henry King; Fury (Lupi di mare, 1923) ancora di King; The Bright Shawl ( Lo scialle lucente, 1923), The Flight Blade ( La lama nel pugno, 1923) e Soul Fire (Sinfonia tragica, 1925) tutti di J. S. Robertson; The Beautiful City (Lame nell’ombra, 1925) di K. Webb; The Amateur Gentleman (Derby reale, 1926) di S. Olcott; Just Suppose (Amore in quarantena, 1926 ma conosciuto anche come C’era una volta un re) di K. Webb; Ranson’s Folly /L’avventura di una notte o La maschera dagli occhi innamorati, 1926) di S. Olcott; The Patent Leather Kid /Ferro e fuoco, 1927) di A. Santell; The Drop Kick (L’atleta innamorato, 1927) di M. Webb; The Noose (El Lazo, 1928) di Francis Dillon; The Wheel of Chance (La ruota del destino, 1928) diA. Santell; Out of the Ruins (Legione azzurra, 1928) e Scarlet Seas (Mari scarlatti, 1928) entrambi di J. Francis Dillon; Drag (Il principe amante, 1929) ; Wary River (Il fiume stanco,1929); Young Nowheres (L’amoroso convegno, 1929; Son of the God (Sam Lee, principe cinese, 1930) tutti di F. Lloyd; The Dawn Patron (la squadriglia dell’aurora, 1930) di H, Hawks; The Lash (La sferzata, 1930) di F. Lloyd; Alias the Doctor (Il segreto del dottore, 1932) di L, Bacon; The Cabin in the Cotton (Tentazioni, 1932) di M. Curtiz; Central Airport (Ala errante, 1933) di W.A. Wellman; Massacre (Un popolo in ginocchio, 1934) di A. Cronsland.
Dopo A Modern Hero di G. W. Pabst (1934) la sua popolarità che l’avvento del sonoro aveva già incrinato, andò ulteriormente scemando, e Barthelmess fu chiamato solo per parti secondarie (fra queste, Only Angels Have Wings – Gli avventurieri dell’aria o Eroi senza gloria del 1939 di H. Hawks, The Spoilers – I cacciatori dell’oro del 1942 di R, Enright e Deserte Fury del 1947 di L. Allen.
L’ambientazione è la montuosa terra della Virginia. Il giovane pastore David che vive lì con la sua famiglia, corteggia la coetanea Esther e si rammarica di non poter aiutare il fratello Allen nel delicato compito di trasportare la posta governativa sulla sua diligenza. Un giorno, un criminale fuggito dalla prigione, cugino del padre di Esther, arriva alla fattoria per chiedere ospitalità insieme ai suoi due figli. Il trio mostrerà da subito la sua vera faccia e Luke, il più crudele di tutti, prima ucciderà il cane di David, per poi ferire alla schiena Allen con un sasso, rendendolo così un povero invalido. Per bloccare il terrore crescente dell’invasione malvagia, il padre di David decide allora di affrontare i “cattivi” per fare finalmente giustizia ma – sofferente di cuore – muore per collasso prima di riuscire a portare a termine l’azione. David vorrebbe intervenire, ma la padre che teme così di perdere anche lui, glie lo impedisce, così i tre possono continuare indisturbati nelle loro azioni criminose. Qualche tempo dopo, mentre David è chiamato a sostituisce il nuovo postiglione della diligenza postale, il gruppo dei tre malviventi lo fronteggiano con la prepotenza della superiorità numerica per rubare le missive e i pacchi. Ma questa volta David, con la forza dell’orgoglio trova il coraggio per reagire e…
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