Regia di Paddy Considine vedi scheda film
Avessimo in Italia un attore come Peter Mullan avremmo risolto una buona percentuale dei problemi del cinema nostrano. Rimarrebbe solo da trovare buoni soggetti ed una sceneggiatura adeguata (ho chiesto troppo?) Ma meno male che Toni Servillo è vivo e lotta insieme a noi (cinefili).
Joseph non fa parte degli ultimi della terra: è l’ultimo degli ultimi, un cane rabbioso, che morde chi gli passa vicino. Difatti non ama abbaiare; la sua mente, quando gli fai perdere la pazienza, va fuori giri e, avendo già le idee confuse da troppo alcol, reagisce dando libero sfogo alla sua ira. E’ un uomo solo, vedovo da cinque anni, senza una occupazione e gli fa compagnia solo un affezionato cane, che una sera purtroppo subisce mortalmente la sua collera. Quindi ancora più solo e più suscettibile, con l’aggiunta della sensazione di sentirsi pentito per aver preso a calci il suo cane. In questo mondo diviso in classi sociali in maniera sempre più evidente, Joseph fa parte di quelli che abitano nei sobborghi e frequentano il bar per trovare conforto e sfogo in un boccale di birra. A differenza di quelle famiglie agiate che abitano a Manor Estate, quartiere nobile di Sheffield, fatto di villette a schiera che hanno come dice rabbiosamente Joseph “cinque stanza da letto, doppio garage, prato curato, auto sportiva, caffè la mattina e il fottuto stile di vita di Manor Estate”.
Nel buio dell’anima, del cuore e dell’esistenza arrivano due bagliori di luce che lo rendono più tollerante, anzi lo fanno quasi intenerire. In una bottega di beneficienza c’è una signora, Hannah, il cui sorriso lo attira fino al punto di spingerlo ad entrare nel locale per poterle parlare: forse è solo così che la vita può addolcirsi. E’ una donna molto credente e con un fardello misterioso riguardante la sua vita familiare: il marito la maltratta tanto da lasciarle spesso i segni sul viso e sul corpo. E abita, guarda caso, proprio in quel quartiere agiato. Poi c’è un altro punto luce: Samuel, il bimbo che abita di fronte ma che vive costantemente per strada per il fatto che il fidanzato della mamma è spesso in casa e lui deve sgomberare. E’ il secondo essere umano con cui ama scambiare due chiacchiere e gli fa tanta tenerezza anche perché il piccolo Samuel è sottoposto alle prepotenze dell’uomo che sta in casa sua e del suo ringhioso bulldog. Se la rabbia che alberga in Joseph è quella di chi non ha nulla, non ha lavoro, non ha più moglie ed ha solo una vita vuota, la violenza che invece muove il marito di Hannah e l’uomo dell’abitazione di fronte è quella che fa male, fisicamente e moralmente. Fino alla tragedia che pare inevitabile. La vera violenza è altrove, non nello sbandato Joseph, che ha invece un potenziale di sentimenti ancora da esprimere. La vera violenza è quella che cercherà di spegnere le due scie luminose della vita buia di Joseph.
Che film come questo rimangano nascosti come fossero tesori che si deteriorano all’aria della diffusione è un delitto culturale e inspiegabile. Basato su una scrittura efficacissima, il lavoro dell’esordiente Paddy Considine è davvero considerevole e giustamente meritevole dei premi raccolti in tutto il mondo. Su Peter Mullan ho volutamente scherzato all’inizio per dare una pallida idea del suo valore espressivo e della straordinaria prestazione che offre in questo film, unitamente alla notevole bravura di Olivia Colman (che sarà in seguito la voce al telefono di Bethan, la moglie di “Locke”), anche lei premiata meritatamente. Chi avrà possibilità lo recuperi, magari in originale, come farò sicuramente io. Film straordinario.
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