Regia di Paddy Considine vedi scheda film
Tyrannosaur era il soprannome della defunta moglie di Joseph. Una donna corpulenta i cui movimenti facevano talvolta tremare il pavimento, provocando, nella tazza di tè del marito, quelle oscillazioni che, in una famosa scena di Jurassic Park, preannunciano l’arrivo del T-Rex. Un riferimento scherzoso, in quella che, per il resto, è soltanto un storia di amori infelici, di violenza e di dolore. La letteratura ci ha abituati a vedere il bello nelle urla scomposte della tragedia, ad immaginarle trasfigurate in un melodioso canto. Questo film ci ricorda che, invece, la sofferenza e il sopruso hanno l’aspetto scabro di una realtà scorticata, che è sgradevole da vivere e da guardare ed offre, a sua volta, un fertile terreno a nuove crudeltà. Fino all’ultimo, prima che l’origine del titolo ci venga finalmente spiegata, siamo portati a credere che il tirannosauro sia lui, Joseph, l’uomo rozzo e scorbutico che frequenta i pub e che, in un momento di rabbia, uccide involontariamente il proprio cane. Il suo aspetto ed i suoi modi parlano del degrado di un quartiere popolare, del vandalismo giovanile, della piaga dell’alcolismo. La sua condizione è l’emarginazione ufficiale e visibile, che si sposa al crimine e al disagio sociale; e che, per puro caso, entra in contatto con la solitudine sconosciuta e nascosta, quella che rimane circondata da un pudico silenzio, mentre semina l’odio e scatena il dramma all’interno delle case della classe media. Hannah gestisce una rivendita di abiti ed oggetti usati, a scopo di beneficienza. È una fervida credente ed, apparentemente, una donna realizzata. Ma l’incontro con Joseph aprirà una finestra sulla sua vera vita. Un occhio nero, comparso improvvisamente sul suo viso, e la rabbia incontenibile che si porta dentro, la renderanno d’un tratto simile a quell’uomo volgare e trasandato che bestemmia contro Dio. La barriera tra i due cadrà definitivamente, ed essi si troveranno a condividere lo stesso sbandamento prodotto dalla sensazione di essere incompresi da tutti e non avere nessuno con cui confidarsi. Joseph, tanti anni fa, ha scelto la via della ribellione, della diversità adottata come forma di protesta, come esplicita dichiarazione di rifiuto di ogni rassicurante ipocrisia sulla reale natura del destino umano. Hannah, per contro, vive da sempre all’ombra delle convenzioni perbeniste, cercando, nel volontariato, una compensazione al vuoto in cui rischia continuamente di sprofondare. A prima vista sembrerebbe che, come nel più classico dei romanzi, le due anime appartenenti a due mondi lontani si uniscano per proseguire insieme il cammino verso una comune salvezza. Sullo sfondo c’è l’immagine di Cristo a rafforzare questa piacevole illusione. Eppure le soluzioni non sono così mai così semplici. Tra Joseph e Hannah permane una distanza, un fossato di reticenza, che nessuno dei due è in grado di superare. L’evoluzione della storia ce lo farà scoprire, a poco a poco. E, d’altra parte, l’icona religiosa, appesa ad una parete del negozio di Hannah, sembra l’ambiguo riferimento ad un (auto)inganno, come lo sono la foto del matrimonio di Hannah e Jack e quella della moglie di Joseph, prima strappata, poi rincollata e messa in cornice. La differenza, intorno alla quale l’essere umano furiosamente si dibatte, è tra amare e credere di amare: una differenza abissale, che pure, nella pratica, è definita da un confine impercettibile. Hannah e Joseph ne sanno qualcosa, ma sono entrambi irrimediabilmente caduti, prima di capire dove fosse il punto. Conoscersi, ha significato, per ognuno di loro, acquisire maggiore chiarezza: confortarsi a vicenda non è più possibile, però, perlomeno, specchiandosi l’uno nell’altra, entrambi possono sperare di comprendere qualcosa di più. Paddy Considine, attore inglese al suo debutto da regista, firma un’opera dal realismo aggressivo, animato dalla voglia di scavare dentro i sentimenti, però mitigato dalla compassione verso chi, a torto o a ragione, nella lotta alla sopravvivenza fisica e morale, ha gravemente sbagliato strada.
Premio per il miglior film straniero a Sundance 2011.
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