Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Nella Svizzera dei primi del '900 l'allora trentenne dott. Jung (Fassbender) è alle prese con una paziente (Knightley) segnata da una grave forma di isteria aggressiva che ha le sue radici nei maltrattamenti paterni subiti durante l'infanzia e si estrinseca attraverso peculiari comportamenti sessuali. Deciso a trattare la sua paziente attraverso la "terapia della parola" indicata da Sigmund Freud (Mortensen), più anziano di Jung di una ventina d'anni, lo psicologo svizzero diventa dopo qualche tempo l'amante della donna e ricorre allo stesso Freud per confrontarsi sul caso.
Un irriconoscibile Cronenberg, che proveniva dall'indovinatissima terna di Spider, A history of villence e La promessa dell'assassino, firma un'opera gelida e didascalica, verbosissima, fortemente condizionata dall'impianto teatrale originale (la macchina da presa rimane quasi sempre fissa), con personaggi che sfiorano ripetutamente la caricatura e rispetto ai quali alcune delle intuizioni filosofiche ed epistemologiche più feconde del '900 sembrano essere il frutto del caso a disposizione di semi-sprovveduti. Il personaggio di Sabina Spielrein (in precedenza oggetto di attenzioni cinematografiche in Cattiva di Lizzani e Prendimi l'anima di Faenza), interpretato con la consueta cialtroneria da Keira Knightley, oscilla tra intuizioni colte e nevrosi incontrollabile, ma il più esasperato nei tratti è Otto Gross, al quale Vincent Cassell conferisce una supponenza artificiosa. A fronte di questo bigino per dummies, l'aspetto più indovinato è quello che riguarda la contrapposizione tra l'impostazione olistica di Jung, che vuole affacciarsi anche sul parascientifico, e quella decisamente più rigorosa e ortodossa di Freud, tutta tesa a schermare la nascente disciplina psicoanalitica dai portentosi attacchi dei suoi detrattori.
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