Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Attonitamente basito. Forse l'aggettivo che rappresenta meglio lo stato d'animo al termine della visione dell'ultima fatica cronenberghiana.
Una basitezza cristallina e stupita che si è andata delineando in tutta la sua imponente incredulità mano a mano che la pellicola andava farseggiando a grandi falcate.
Il quadretto d'epoca che vede smolecolare i colossi della psicoanalisi riducendo, loro per primi, con singolare ribaltamento dei ruoli, a pupazzetti da psicanalizzare; con un campionario nefando di debolezze, fissazioni, gelosie, analisi elementari, asocialità, turbe comportamentali, falsità, dialoghi di altissimo tasso tecnico/spettacolare (Jung: “la paziente è un ottimo caso di psicanalisi” Freud: “Psicoanalisi, suona molto meglio”)
Di Dangerous c'è principalmente il modo di sberlinare i nostri due (e scrive uno che, di fondo, ritiene inutile, se non la psicanalisi in se, il modo di utilizzarla tenendo sotto scacco milioni di pazienti per anni ed anni...), di declinarceli in versione umana (ma spesso anche sub-), fornendo un'evoluzione di vita che ben si adatterebbe ad una serie da gloriosa comica americana in bianco e nero (con culmine nelle sculacciate/frustatine alla paziente russa dallo sfregio facile e la mascella snodata - fintissima recitazione quella della Keira Knightley -).
Lo Jung da barzelletta incline a subire la prima paziente che arriva, ed il Sigmund bolso (al quale il legnoso Viggo Mortensen dona ulteriore immotezza) col perenne sigaro in bocca - deciso simbolo fallico che si sarebbe diagnosticato egli stesso - geloso dello Jung, suo mancato collaboratore, fino a lasciarlo alla mercé dell'isterica psicanalista russa (ex furiosa paziente ed alla fine promettente professionista in carriera).
Lasciamo Jung pieno di figli (li faceva a contratto ma ne avrebbe voluto uno russo) e soldi, mogio in riva al lago. In autoanalisi magari? Tanto paga la moglie…
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