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A Dangerous Method

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su A Dangerous Method

di ROTOTOM
6 stelle

Il verbo si fa carne, la nuova carne. Cronenberg superbo scandagliatore di intimi subconsci, con A Dangerous Method affronta la Storia mettendo in scena la celebre disputa accademica, etica e professionale tra i due grandi studiosi della psicanalisi, Freud e Jung.

 

Tra di loro, una figura femminile che fa da catalizzatore delle nevrosi dei due studiosi, vero motore del film, la dottoressa  Sabina Spielrein ex paziente nevrotica di Jung, prima salvata e poi promossa a ruolo di sua amante. Carne e verbo, il tema del doppio tanto caro al regista trova il suo naturale habitat nel confronto tra i due studiosi, bloccandoli nelle loro pulsioni in una rappresentazione algida e patinata nella quale la parola, il verbo,  acquisisce una propria valenza carnale. “La cura delle parole” , il metodo pericoloso a cui allude il titolo, è l’esercizio con il quale le personalità dei due personaggi si mostrano. 

 

Esercizio metalinguistico, il racconto delle pulsioni più profonde è delegato non più alla trasformazione fisica o psichica messa in atto nelle pellicole precedenti, quanto allo scarto tra parola e corpo, quello che sta in mezzo è l’ossessione e la repressione. Invisibile se non raccontata, spiegata e sventrata dall’uso dell’intelletto, costruita sul verbo, analizzata come una cavia da laboratorio.

 

Si sprigiona energia dalle diatribe dialettiche dei tre personaggi, le loro contraddizioni laceranti generano idee e confronto, avanzamento e creazione delle teorie. Il verbo deve necessariamente passare dal corpo per dare fisicità e consistenza alla teoria psicanalitica.

 Così Freud, il padre, freddo e razionale riconduce tutta la teoria psicanalitica alla sfera sessuale; Jung, il figlio che subisce l’influenza della figura paterna e che da esso deve affrancarsi, reprime a parole le proprie pulsioni per poi sfogarle nel suo rapporto con la Spielrein che teorizza, provandola su se stessa, la pulsione di morte che si genera nel piacere dell’atto sessuale con la negazione dell’ego. Un po’ bisogna saperne. Un po’ bisogna ascoltare attentamente. Un gigantesco bignami di psicanalisi si abbatte su chi assiste.

 

Calligrafico, Cronenberg, distaccato e freddo, non lavora sui corpi ma sulle parole che mischia e impasta nell’inchiostro delle missive, sul loro senso rettile che si attorciglia attorno alla preda, analizza lo scambio tra Freud e Jung, sta dietro lo schienale senza interferire come Jung si siede dietro la sua paziente per non condizionarla con la propria presenza. Unica concessione all’allegoria del doppio è la presenza dello specchio nel talamo d’amore tra i due amanti clandestini, Jung e Sabina Spielrein. 

Questo distacco rende il film, con la fotografia patinata e dai toni caldissimi, un po’ didascalico e non completamente riuscito, benché interessante come soggetto, la realizzazione acquista il vago sapore delle ricostruzioni storiche dei programmi di divulgazione scientifici e non arriva a colpire il cuore dello spettatore.

 

Il sospetto è che la materia sia così densa e storicamente importante da imbrigliare la visionarietà di Cronenberg in una ricostruzione che non si distacca da terra, rimanendo sui fatti senza dare alle immagini quella forza necessaria per librarsi nei territori dell’astrazione. 

Rimane un film comunque gradevole, non sicuramente all’altezza delle ultime grandissime prove del regista, nobilitato dalle buone prove d’attori di Michael Fassbender, Viggo Mortensen capaci con sguardi e gesti, di trasmettere il loro Io più nascosto. 

Vincent Cassel appare nei panni del libertino Otto Gross, psicoticamente schiavo degli istinti,  mentre Keira Knightley è tutta tic e nevrosi, pericolosamente diretta ai limiti l’overacting. Sarebbe importante fruire il film in lingua originale ma si sa, queste sono parole al vento.

 

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