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A Dangerous Method

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su A Dangerous Method

di alan smithee
4 stelle

Per la prima volta Cronemberg delude, checché ne dicano critici entusiasti e i soliti patiti incondizionati di psicanalisi.
Chi ha amato per davvero Cronemberg, le sue ossessioni, le mutazioni del corpo e della mentre presenti fino ad ora in pressoche’ tutte le sue riuscite opere non puo’ che rimanere inerme e spiazzato davanti ad un’opera in fondo cosi’ piatta e formale, così didascalica e al tempo stesso così frigida, insomma tutto il contrario di cio’ a cui il grande cineasta canadese ci ha abituato da oltre un trentennio di notevoli opere d’arte.
Ad inizi del Novecento una giovane studentessa di medicina affetta da schizofrenia viene mandata in cura dal giovane ma gia’ piuttosto noto medico della mente, Gustav Jung. Durante le lunghe sedute a cui la sottopone, scopre che la giovane prova un insano piacere per la sottomissione e la punizione fisica, e finisce per cedere alle richieste della giovane, che non solo guarisce, ma finisce per diventare la collaboratrice (e l’amante) del brillante medico. Costui  in seguito prendera’ contatto col piu’ anziano e noto luminare della psicanalisi del tempo, il celebre dottor Sigmund Freud, col quale dividera’ un periodo di esperienze e confidenze, amicizia, che arricchiranno entrambi i percorsi, ma che li porteranno ad intraprendere in poco tempo  vie opposte.
La sceneggiatura porta la firma, altre volte eccellente, di Christopher Hampton, ma che qui mal si adatta ad un regista fino ad ora cosi’ poco avvezzo al formalismo e alle buone maniere. Se si pensa in effetti a cos’era “Il pasto nudo” tratto da Burroghs, o “Spider” da McGrath, entrambi studi meravigliosamente malsani di menti malate e deviate dalla follia, al confronto con la pochezza della rappresentazione della pazzia che traspare in questo monocorde  film, c’e’ davvero da rabbrividire.
Keira Knightley - a mio giudizio spesso mediocre e incredibilmente sopravvalutata - arriva dal suo guaritore quasi posseduta da Pazuzu, tutta smorfie e digrignar di denti (e che denti!!); poi in quattro e quattr’otto con due sculacciate guarisce e diventa una saggia e misurata dottoressa a sua volta. Le tanto conclamate scene di sesso con Fassbender sono ridicole come in poche altre occasioni, caste e misurate che neanche la patina di Elisa di Rivombrosa risultava tanto micidiale. Tanto piu’ se si conta che sono girate dal regista di Crash e di M.Butterfly, pellicole che cosi’ efficacemente avevano descritto il trasporto sessuale e la dipendenza che questo crea nelle menti e corpo di chi ne e’ vittima.
Un po’ meglio mi pare venga trattato il rapporto tra i due illustri psicanalisti, soprattutto quando prende in esame il diverso ceto sociale da cui provengono: Freud, padre di sei figli che vive in un piccolo appartamento, Jung che invece ha sposato una donna ricchissima e quasi ostenta un tenore di vita che lascia sconsolato il piu’ anziano e celebre collega. Molto significativa e’ la scena del pranzo a casa di Freud, in cui Jung come ospite viene servito per primo e, abituato all’opulenza di casa propria, fa razzia della portata principale, lasciando a bocca asciutta tutti gli altri (affamati ) commensali della famiglia del padrone di casa.


O ancora quando, imbarcati per l’America, Freud deve accontentarsi di una camera di seconda classe mentre Jung ammette senza imbarazzo che la moglie si e’ presa cura di assicurargli una comoda suite ai piani alti.
Sono comunque piccoli particolari che non smussano la delusione generale per un opera freddina e assessuata, girata come un diligente compitino da un gigante della messa in scena. Due sole misere e dolorose stellette, se un po’ di obiettivita’ abita ancora in me.

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