Regia di Tonino De Bernardi vedi scheda film
Il cinema "povero" di Tonino De Bernardi mostra come la dimensione contemplativa ed estetica possa essere applicata anche agli aspetti più anodini della quotidianità. La sua visione delle cose semplici e familiari, o dimenticate e degradate, ammette anche l'inserimento di variazioni artistiche e svolazzi drammatici, ma in una maniera tale da non alterare la spontaneità e l'imperfezione della realtà nuda e cruda. In questo film il coltello da cucina è l'onnipresente simbolo dei dolori e delle passioni attinenti alla sfera privata, che si manifestano in sordina, tra le pareti di casa o ai bordi delle strade, in angoli di mondo silenti, in cui l'amore e la fatica palpitano nell'invisibilità. E' la presenza di una lama, impugnata con ardore o noncuranza, con malignità od innocenza, a portare alla luce la nostra natura impulsiva e fragile, rappresentata da una carne che, in ogni momento, è pronta a desiderare e ad essere ferita. Il luogo in cui si svolge l’esistenza è come un palco senza fondale, in cui la scenografia è sostituita dalla visione prospettica di un ambiente spoglio, periferico, abbandonato, privo di una identità attiva e riconoscibile, e dunque desolatamente universale. Ai personaggi e ai loro gesti non spetta più un posto esclusivo sulla scena, perché le pareti del teatro sono state abbattute – o forse sono crollate – e un caos fatto di gente, buio, traffico o nebbia invade lo spazio dell’azione, che così vede cadere il proprio artificioso isolamento. Ma ciò che non ha più confini resta indifeso ed indeterminato, e mentre si apre al mondo, esita un istante, di fronte al pericolo di perdersi nella vertiginosa vastità del caso. Più che una vera e propria riflessione, questo film propone un prolungato sospiro di attesa, che si posa sulla vita mentre questa si appresta a maturare la sua prossima piccola verità individuale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta