Regia di J.J. Abrams vedi scheda film
Super Otto è un ragazzone di chiare origini teutoniche. Trasferitosi in America alla fine degli anni ‘70 per imparare nuovi modi di raccontare attraverso le immagini, è entusiasta della vita e non vede l’ora di apprendere tutti i segreti di un’arte a lui poco conosciuta. Nella terra dove è cresciuto aveva fatto un paio di tentativi, ma non capiva dove fosse il divertimento, con quelle ambientazioni squallide e le cineprese immobili fissate su di un cavalletto. Otto è giovane, vorrebbe una vita avventurosa, fatta di dinamismo e movimento.
È ciò che trova assistendo al lavoro dei Maestri, i quali inscenano subito un’esplosione di vagoni ed… esplosivi, seguita da uno zampillare di schegge-segugio affamate di ragazzi rimasti soli nella notte. Risultato: molti feriti (sanguinanti e ammaccati come pere cadute dalla sporta della spesa) e nessun morto.
Otto ascolta quello che dicono i giovani sopravvissuti: “È stato quel pick-up ad andargli incontro”. “Oh mio Dio, conosco quel pick-up”. “Di chi è?”. “È di lui”. “Sì, è lui”. “Lui chi?”. “Volete dire lui lui?”. “Sì, sembra proprio lui…”. LUI per fortuna è svenuto e non può sentire queste infelici e imbarazzanti battute scritte in un evidente momento di lucidità. Abrams, qui anche in pigiama di sceneggiatore, esibisce similitudini ardite: “Ehi, femminuccia. Non mangiare le patatine”. Perché, si sa, se sei maschio tendente alla gayetudine ti rimpinzi con tuberi fritti. A meno che tu non sia lesbica, e allora la patatina potrebbe anche essere di tuo interesse. (Ho proseguito la visione con questo angosciante dubbio, lo giuro! nda).
Comunque si capisce che conviene prestare fede a qualsiasi scemenza, dato che i miscredenti vengono, secondo le regole del genere, puntualmente puniti; preferibilmente di notte, mentre qualcuno vicino si diverte in attività ricreative e con qualche effetto minore (siamo o no immersi in un’operazione nostalgia?) su rumori e luci. Super Otto sbadiglia, ma ormai si è iscritto al corso e non vuol fare un torto ai Maestri della New New Hollywood. Comprende la faccenda dei motori scomparsi, tuttavia si guarda bene dal porre domande sul destino dei cani. Percepisce che qualcosa non va: quell’assistente scenico ha appena pronunciato una battuta: “Cani e motori, noie e rumori”. Mah.
Otto adesso inizia a essere perplesso riguardo agli elementari passaggi registici. Forse, in questo, J.J. assomiglia a Spielberg. O lo omaggia, secondo le preferenze. E rimane di sasso quando avverte la stupidità dell’inquadratura sul corteggiatore che si fa le canne e ascolta musica chiuso nell’auto, mentre le forze militari “agiscono”: un altro ingegnoso sotterfugio per dare fiato a una narrazione in preda a continui attacchi d’asma.
Dopo la distruzione di massa delle tre prime geniali serie di “Lost”, perpetrata grazie a una sceneggiatura scandalosa scritta nelle tre involute serie successive, Abrams conferma di non saperci fare. O meglio, di non saper che fare. La sua figura è pari a quella di una delle tante cicche da masticare, chiusa all’interno di un pacchetto che comprende tanti, troppi, autori con la “a” minuscola (quasi invisibile) di questo inizio millennio. Idee poche e stantie, regia approssimativa e un distacco emotivo verso i personaggi, le storie e chi le guarda.
La desolazione del panorama artistico e la mancanza di rispetto con cui si è scontrato, portano Otto a ridimensionare l’attività dei Maestri. Conclude che passare dal Kammerspiel al Kammerspielberg non sia stata poi questa grande idea; decide di tornare in Germania nel tentativo di fare film per conto suo, e si augura con tutto il cuore che la storia della star cinematografica venuta dallo spazio profondo (intitolata “Super Nova”) non venga mai messa in produzione.
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