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Andrej Rublëv

Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film

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La recensione su Andrej Rublëv

di maso
10 stelle

 

                                                           

 

Affresco storico o storiografia iconografica? Icona filmica o storia filmata? Film storico o storia dei film? Antologia dell'icona filmata o antologia firmata da una icona? Raccontare la storia o far della storia un racconto? Film, icona, quadro, affresco, capolavoro, arte pura fuoriuscita attraverso la telecamera dalla mente di un genio assoluto non della cinematografia mondiale bensì dell'arte intesa come forma di espressione libera, evocativa, comunicativa, ammaliante, ipnotica, l'arte eterna di Andrej Tarkovskij che scegliendo di filmare liberamente la vita del più grande pittore di icone russo del quindicesimo secolo ha quasi profetizzato la sua esistenza presente e futura in contrasto con le istituzioni repressive del suo paese nei confronti della libera espressione tanto da costringerlo come il suo protagonista al vagabondaggio, alla ricerca dell'equilibrio e della verità sul mistero della fede, sulla sua effettiva valenza e importanza messa a confronto con la povertà e la sofferenza che attanagliano un popolo vasto e multiforme brulicante dalla terra di un territorio multiforme e vasto; la stessa omonimia è un legame indissolubile fra l'autore delle icone dipinte sui muri, sul legno, su tela e colui capace di raccontare attraverso delle icone su pellicola la sua storia e la loro, addirittura colorando il suo film con la vernice di quelle stesse icone in una esplicita appendice in cui le due forme d'arte si fondono e dato che con umiltà ed emozione chi sta scrivendo questa recensione si chiama come loro nel suo piccolo si sente parte di questa raffigurazione, appendice di una appendice con la quale cercherà senza giungere a conclusioni di dare una sua visione attraverso lo scorrere delle parole che come un mosaico ne diano una rappresentazione. La sola introduzione, spesso ritenuta astratta dalla vera narrazione che scorre successivamente ad essa, racchiude in se tutta l’essenza del cinema del maestro russo, le immagini hanno una profondità avvolgente tanto che si ha come l’impressione di entrare noi stessi nella storia, una chiesa abbandonata, una mongolfiera rudimentale fatta di toppe e stracci e il suo ideatore che la mette a punto mentre la camera

lo segue come un’ombra fino a fondersi unicamente con inventore ed invenzione che volano via al di sopra di tutto, l’interpretazione che ne ho dato è trivalente: da un lato ho sempre trasfigurato questo personaggio all’autore stesso e il suo desiderio di volare via da un sistema opprimente, dall’altro lato la intendo come una rampa di lancio per noi spettatori che attraverso il suo sguardo sorvoleremo nelle tre ore successive la madre Russia del 1400 che non è molto diversa per  ideologie da quella del ventesimo secolo tanto che la commissione di censura sovietica vieterà la circolazione del film in patria ravvisando apertamente la critica mirata da Tarkovskij, durante il suo volo la mongolfiera passa sopra alcuni dei simboli ricorrenti nel cinema del maestro: sotto forma di fiumi e campi inzuppati l’acqua compare luccicante già in questo prologo e si ripeterà nelle sue tante forme per tutto il film mentre cavalli selvaggi movimentano l’immagine che come un occhio dal cielo viaggia veloce verso la storia che è di tanti anni fa ma assomiglia a un presente recente e quasi sicuro anche a un recente futuro come un russo che vola sempre più in alto nello spazio come lo stesso Tarkovskij che guardando immagini terrene è pronto a riprenderle sempre più vicino al Sole, sempre più vicino a “Solaris”.                                    

Il viaggio Andrej Rublev è il viaggio di Tarkovskij Andrej scandito in movimenti su movimenti e raffigurazioni attraverso il suo movimento in piani sequenza su di un mondo in continuo movimento da non sembrare nemmeno una sequenza ma la cattura continua di ciò che sta avvenendo quasi naturalmente intorno al suo occhio elettronico, capace di creare una profondità dell’immagine e colorarla con mille sfumature di grigio, bianco e nero per esprimere la povertà di una nazione, in un tempo che vuole essere molto lontano ma è ancora vicino, la problematica della fede e il peso dell’arte che affliggono il protagonista mai così direttamente in simbiosi con chi muove i suoi fili e crea i suoi pensieri, Andrej Rublev è un monaco che dipinge icone e si intimorisce di affliggere ancora di più la disperazione che lo circonda dando troppa vivacità all’affresco del Giudizio Universale o di non soddisfare chi rappresenta il potere che già in passato ha reso ciechi i suoi maestri ma la potenza dell’arte si manifesta anche con una semplice impronta nera e tocchi di colore lanciato contro un muro bianco tanto che per la matta Durochka priva delle parole è più che sufficiente per provare lo stesso turbamento dell’autore ed esprimerlo con il pianto, Andrej si rifugia spesso nel suo limbo ecclesiastico messo continuamente in discussione dai peccati che incontra sul suo cammino a partire dal buffone irrispettoso verso la fede denunciato alle autorità, l’invidia prima e il pentimento poi di Kiril il suo compagno di viaggio ribellatosi all’arte che crea turbamento, in questo caso perché inespressa, e alla fede de­leteria a livello pratico e utile solo allo spirito per coloro che vengono torturati alla fiamma senza motivo se non quello di provare la fede e manifestarla a voce alta zittito delle sua urla lamentose con colate di pece bollente mentre il duca che esercita il potere viene deriso sull’argomento dal tartaro che esercita il potere sul duca con lo scambio di parole meno poetico di tutto il film espresso con chiara volontà da Tarkovskij:- “Cosa rappresenta quel dipinto” – “La vergine Maria”- “E il bambino che tiene in braccio chi è?” – Gesù Cristo suo figlio”- Una vergine e suo figlio?-, la religione nega la libertà dell’amore e Andrej non può che contestare la sua manifestazione sfrenata nella festa pagana dei ragazzi incontrati nel bosco rimanendone però affascinato soprattutto perché dopo essere stato legato alla croce per essere poi affogato il giorno dopo dai contestatori festanti viene avvicinato da una ragazza come nella sua visione lo era Gesù crocifisso in una terra innevata identica alla Russia per paesaggio e persone, la ragazza difende l’importanza dell’amore come manifestazione di gioia, vera cura della sofferenza radicata fra la gente, lo bacia, lo libera ma non del suo dubbio su quale sia la verità, se davvero è l’amore il vero motivo di un popolo e la fede la sua dannazione, il peccato della violenza che l’invasore tartaro esercita fino alla morte nell’incursione a Vladimir durante la quale Andrej stesso compirà un salto definitivo verso il peccato, il più grave, commesso per evitare che ne sia compiuto un altro, in questa lunga sequenza il movimento frenetico degli attori messo in scena in maniera fenomenale coinvolge l’occhio ferocemente con un montaggio ultra fluido dei piani sequenza fulminei o prolungati che culminano con la scena di morte più vitale mai girata nella quale il ragazzo trafitto dalla freccia stramazza nell’acqua provocando schizzi che sembrano bucare l’obiettivo come la freccia ha perforato lui, l’impotenza e la passività di Andrej prima legata ad una croce e poi liberata senza muovere un dito mentre la ragazza che lo aveva provocato viene inseguita dagli oppressori ed è costretta a fuggire denudata di ogni cosa attraverso il fiume, passa accanto alla barca da cui Andrej non si azzarda ad allungare una mano mentre al più giovane viene impedito di guardare senza specificare se lo scandalo sia nella manifestazione della sensualità femminile o nel cercare di soffocarla con la violenza.

Dopo questo prolungato girovagare fra le macerie della Russia schiacciato dal peso dell’arte e il dubbio della fede Andrej sceglie il silenzio e rinuncia a dipingere per un periodo lunghissimo, quindici anni hanno invecchiato la sua immagine, non ci è stato mostrato un momento di rivalsa per il popolo, una situazione da cui si possa sollevare la gioia in armonia ma tutto ciò emerge in maniera spettacolare e sorprendente nella lunghissima sequenza della creazione della campana per ordine del gran duca, dopo che la peste ha sterminato anche i migliori forgiatori della regione la forza lavoro si riunisce pur consapevole che se la campana non suonerà molte teste saranno mozzate, prima fra tutti quella di Boris il giovane figlio dell’artigiano rimasto solo e il solo a parte del segreto della fusione, protagonista assoluto di questo segmento di rara bellezza in cui ci viene mostrato come mai prima di allora lo spettacolo del lavoro manuale e artigianale, prima delle macchine, prima delle fabbriche, quando il braccio umano era la forza motrice e il cervello non elettronico quello che lo muoveva.                                                           

Tantissimi spunti ed episodi caratterizzano questo film nel film: la ricomparsa di personaggi incontrati durante la storia, di nuovo la forza della natura ed in particolare dell’acqua sotto forma di pioggia fortissima che spinge Boris verso l’argilla che cercava, il fascino irresistibile del comando e del potere che il ragazzo assapora nella temporanea veste di capo cantiere, le fasi di lavoro frenetico, la trepidazione generale nella prova del suono della campana creata sotto le direttive del ragazzo che rappresenta comunque il domani di un popolo che deve per forza continuare il suo cammino e tramandare la sua arte ed il suo sapere, la rivelazione ed il confronto finale con l’artista Andrej Rublev accomunati dal dovere e il compito di mettere in atto le loro capacità ed il loro sapere per il resto dei   giorni.                                                                   

L’opera monumentale che ho cercato di narrare puntando il dito sui suoi numerosissimi spunti è un patrimonio che Andrej Tarkovskij ci ha regalato attraverso il suo talento visionario a mio avviso inarrivabile, non ho visto altri capaci di produrre questo tipo di cinema storico e spaziale, violento e poetico, in cui il suo stile emerge fortissimo anche in inquadrature statiche diventate un marchio inconfondibile come le piante affioranti dall’acqua mosse appena dalla corrente, nella messa in scena impeccabile in cui fa muovere i suoi attori in libertà e sotto controllo in bilico su un copione aperto all’improvvisazione e allo sviluppo in presa diretta, nella regia fluida e all’avanguardia se la si osserva dal periodo di realizzazione, attuale ed antologica se la si osserva dal proprio punto di osservazione raffrontata con l’attualità, nella fotografia in bianco e nero intensissima che si tramuta in colore nel momento in cui l’immedesimazione fra il regista ed il pittore diventa totale perché attraverso l’immagine del primo rivive l’opera del secondo in un'unica forma espressiva prima di un ultimissimo ritorno alla natura, all’acqua, al presente.

Fuori categoria in ogni concorso e punteggio è un film che chi ama questa forma d'arte deve assolutamente vedere per comprendere quali vette con essa si possono raggiungere se si è dotati di una genialità fuori dal comune come Andrej Tarkovskij, maestro indimenticabile di un cinema senza tempo.

Andrej Tarkovskij

Nella lista dei registi leggendari pochi altri lo sono al pari di Tarkovskij, regia a dire poco immensa e geniale.

Anatolj Solonitsin

Attore scelto dal maestro per metà della sua filmografia e morto poco più che quarantenne altrimenti avrebbe interpretato il protagonista anche in "Nostalgia" ed "Il sacrificio", nel ruolo di Andrej Rublev esegue le direttive diventando l'alter ego del maestro senza strafare e rimanendo impassibile per la maggior parte del film, la sue capacità di interprete saranno più in vista nei personaggi negativi sviluppati in "Solaris" e "Stalker".

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