Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Vita e opera del pittore Andrej Rublev nei primi decenni del ’400, nella Russia sconvolta dalle incursioni tartare. La prima parte racconta la sconvolgente scoperta del male del mondo: costretto ad assistere alla violenza altrui e ad uccidere egli stesso, Andrej si condanna al silenzio per fare penitenza. Il momento migliore è il colloquio con il fantasma di Teofane il Greco, che illustra la funzione dell’artista nei momenti più cupi della storia: ne deriva quasi come diretta conseguenza l’ultimo episodio (il più lungo, quasi un film a sé stante), in cui il lavoro collettivo per la fusione di una campana diventa un modo per affermare il senso dell’identità comunitaria. Ma non riesco a entusiasmarmi per un film che impiega tre ore per celebrare il valore sociale dell’arte (un’idea che, nonostante i guai con la censura, non doveva risultare troppo sgradita al regime); e mostrare una specie di galleria con immagini statiche e colorate (diversamente del resto del film, in b/n) delle opere del vero Rublev mi sembra una conclusione un po’ troppo facile e didascalica.
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