Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Andrej Rublev è stato uno dei massimi decoratori di icone del quattrocento. Devastato interiormente dalla ferocia della guerra che sta dilaniando la Russia e resosi responsabile della morte di un uomo, Rublev decide di abbandonare la sua arte e per circa quattordici anni rinuncia a dipingere e a parlare per espiare le proprie colpe. Fino a quando la sua vita non si incrocia con quella di Boriska, un ragazzo che semplicemente grazie alla sua operosità e senza che il defunto padre gli avesse trasmesso il segreto della fusione, riesce miracolosamente a fondere una campana con l'egida di San Giorgio e ad infondere in Rublev la voglia di porre fine al suo silenzio e di dare un nuovo senso alla sua arte.
Andrej Rublëv - Anatolj Solotsin
Sullo sfondo di una Russia lacerata da feroci guerre intestine, si staglia solenne l'esile figura di Andrej Rublev (interpretato ottimamente da Anatolj Solonitsin), un artista che concepì l'arte come strumento di elevazione spirituale e la fede come corollario imprescindibile per ottenere il massimo dalla propria ispirazione artistica. Le tappe della sua vita ci vengono restituite da Andrej Tarkovskij in tutta la loro complessa evoluzione e crisi esistenziale, così come eccellente è la resa iconografica del clima medievale infestato dalle devastanti incursioni tartariche. Una pulizia delle immagini che immobilizza lo sguardo come se si stesse ammirando un quadro (le innumerevoli immagini dall'alto mi hanno più volte rimandato alla pittura di Brueghel) e che evoca in tutta la sua desolante miseria la progressiva desacralizzazione di una nazione intera. Per Rublev è impossibile la creazione artistica senza la presenza del sacro. Non si può dare concreta attuazione al proprio talento se non è possibile attingere a qualcosa che rimandi all'idea di bellezza assoluta. L'uomo è stato imbarbarito dall'avidità per il potere, dal vizio di farsi continuamente la guerra e dalla necessità di privilegiare lo spirito di sopravvivenza sopra ogni altra cosa. La sofferenza umana ha invaso un intero popolo offuscandone ogni nobile principio, ogni pretesa di giungere alla grazia divina seguendo i precetti della propria fede religiosa. In questo mondo sordo ai richiami della purezza dello spirito, Rublev sceglie di rinunciare alla parola e di sacrificare il suo talento di pittore per darsi alla ricerca di una nuova idea di umanesimo. Non abbandona la fede ma intende vivificarla attraverso una mistica dell'opera dell'uomo più legata alla purezza dei contenuti che al perseguimento della gloria personale. La trova in Boriska (interpretato da Nikolaj Burljaev) evidentemente, che incarna la ferma volontà di portare fino in fondo uno scopo in cui si crede, l'essenza stessa dell'operosità senza vanagloria, un ragazzo che concreta l'idea di santità che si applica soprattutto agli ultimi, a quelli che non hanno più niente se non la possibilità di lasciare il segno nella storia grazie alla verità del proprio talento. Una forma umanizzata di santità, imbevuta di spirito cristiano ma che attinge anche dalla ferma convinzione che l'artista può e deve essere un motore della storia in continuo divenire. Un distillato di bellezza. Rublev e Tarkovskij, due facce della stessa medaglia si potrebbe dire visto l'assonanza speculativa tra i due e dato l'intreccio tra la lineare descrittività biografica del pittore e la presenza della simbologia tanto cara al regista : l'acqua, il fuoco, il vento e la neve, gli elementi a cui tutto torna e in cui tutto è possibile purificare. Va detto che in fondo il maestro russo ha inteso omaggiare uno dei massimi pittori russi per parlare anche della situazione contingente del suo paese (stiamo nell'Unione Sovietica al tempo della "normalizzazione brezneviana") attraverso le sempiterne questioni del rapporto tra arte e potere, tra mecenatismo funzionale alla gloria dei gestori del potere e libera espressione del proprio talento artistico. Si ricordi a tal proposito, che il film venne fortemente osteggiato dalle autorità sovietiche perchè ritenuto non conforme alla disciplina corrente e quindi non capace di educare le masse secondo i dettami imposti dall'alto. Bontà loro. "Andrej Rublev" è un capolavoro di pregevole maestria, tre ore di sapiente devozione alla bellezza.
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