Regia di Andres Veiel vedi scheda film
Il tentativo di rifare gli Hermann e Clarissa di Die Zweite Heimat fallisce di fronte alla scivolosa messa in scena di Andres Veiel. Se i protagonisti della fluviale opera di Reitz non erano certo attivi rivoluzionari ma, come i due Bernwald e Gudrun, vivevano sulla loro pelle il fervore culturale degli anni '60 in Germania, i due protagonisti di Wer Wein Nicht Wir sono pienamente attivi nell'arte e nella politica dei loro anni, in particolare tra le fila di coloro che si ribellarono a un nuovo regime tedesco che sembrava riproporre in chiave comunque smisuratamente inferiore le discriminazioni e le scorrettezze commesse durante la Seconda Guerra Mondiale, questa volta ai danni di studenti e giovani rivoltosi contrari al Vietnam e a moltissime forme capitalistiche approvate e diffuse dall'America globalizzante in piena Guerra Fredda; o quantomeno questi sono, in sintesi, i pensieri e le opinioni dei due protagonisti, che pure associano la vivacità culturale e politica all'intensa vita sentimentale che insieme conducono, fatta di tira e molla continui (meno di quanti ce ne fossero tra Hermann e Clarissa, comunque), e conclusa con la separazione totale perché Bernwald sembra interessato solo a esprimere e diffondere teorie rivoluzionarie, mentre Gudrun è più portata per la "pratica" attiva rivoluzionaria. La Storia, in tutte le sue infinite contraddizioni, pesa sulle spalle dei due, senza che però Veiel riesca mai veramente a metterla in scena, limitandosi a raccontarla tramite i veloci dialoghi di sceneggiatura. I protagonisti e coloro che li circondano parlano, parlano, parlano, creando intorno al film una patina respingente che pure non concede grande coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore, di fronte a una storia di vita che pure vuole essere compresa, condivisa, appassionante. Quella stessa patina infatti ricopre in maniera fin troppo asfittica la facilità con cui i protagonisti intrattengono tra di loro e con altri tormentose relazioni sentimentali e la freschezza di intenti che pure circondavano gli uomini e donne che in quel periodo tentarono di avere parte alla vita civile cercando di scrollarsi di dosso il peso di una memoria storica oscura e terrificante (il nazismo e l'hitlerismo del padre di Bernwald tornano più volte a mettergli "il bastone fra le ruote", nei suoi tentativi iniziali di dare il via, insieme a Gudrun, una casa editrice per riproporre al commercio i libri proprio di suo padre nonché di molte altre opere a loro contemporanee). Ma simile coincidenza fra velocità dei fatti storici e vivacità sentimentale non si attiva, probabilmente perché lo sguardo di Veiel è anonimo, privo di guizzi, praticamente "assente" e disattento, quasi frettoloso, quando realizza lunghissimi salti temporali senza concedersi nemmeno un'ellissi, senza godere di alcun attimo di tanto bramato silenzio. Così il suo film diventa una mitragliatrice di confronti, di tensioni, di tradimenti, di gelosie, di cambi di rotta, una storia che pure sa essere problematica, ma che rimane distante come scritta piuttosto che "filmata". Non tanto, insomma, da annoiare, ma certo neanche abbastanza da intrattenere: il film scivola via, e rischia presto di passare nel dimenticatoio, se non fosse per certi piccoli motivi di interesse quali il confronto, appunto, che può sorgere con l'opera reitziana (di fronte alla quale If not us, who? crolla miseramente, ma di cui costituisce una quantomeno dignitosa alternativa) e la conoscenza dei fatti caratterizzanti la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, oltre che la messa in scena dell'interesse dei giovani di quella generazione a distogliersi dai loro padri e a cercare a tentoni nuove strade che pure erano costrette a scontrarsi con il rischio di sentirsi davvero piccoli e non riuscire a risultare mai davvero utili per una causa più grande.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta