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Source Code

Regia di Duncan Jones vedi scheda film

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La recensione su Source Code

di ROTOTOM
8 stelle

Source Code è il secondo film del talentuoso Duncan Jones che tutti ora cominciano a riconoscere con il suo nome piuttosto che come “figlio di David Bowie”. Merito di due notevolissimi film, Moon (2009) scritto e diretto proprio da Jones che ha riportato l’attenzione sulla fantascienza filosofica filo-kubrickiana, e questo Source Code scritto da Ben Ripley, del quale ha curato la regia.

La fantascienza contemporanea sembra divisa in due distinti temi narrativi. E’ tornato  prepotentemente alla ribalta il tema dell’invasione aliena che fece la fortuna di tutta la fantascienza anni ‘50 le cui storie riscaldavano gli animi  degli spettatori bloccati nel terrore della  Guerre Fredda. A ben vedere con l’odierna paura  delle infiltrazioni terroristiche nel tessuto della società, i film di invasione svolgono la stessa funzione catartica, grazie anche alla possibilità di sfruttare effetti speciali digitali ormai alla portata di chiunque.

Se da una parte si guarda l’immensità del cielo dall’altra lo sguardo si concentra su dimensioni più intime esplorando porzioni di spazio e tempo una volta inimmaginabili senza rinunciare nella maggioranza dei casi ad un impianto visivo di primordine. Moon, Inception (2010) , Non lasciarmi (2011), The Box (2009), Splice (2009)  sono i nuovi territori che mettono in relazione l’uomo con il tempo, il sogno, il clone e l’eugenetica. Le realtà parallele e copie conformi che riguardano l’interno dell’essere umano in tutte le sue contraddizioni etiche e morali.  L’infinitamente grande si raccorda filosoficamente con l’infinitamente piccolo, e ogni storia trova un proprio senso così come trovava un senso il protagonista di Radiazione Bx: distruzione uomo (1956) che rimpiccioliva tre millimetri al giorno  fino ad arrivare ad una dimensione subatomica mantenendo la consapevolezza dell’esistenza in quell’universo sconosciuto. Tron (1982) invece è stato il primo film a rappresentare un universo parallelo e reale, sfruttando la nascita dell’elettronica come pretesto narrativo per rappresentare analogicamente un mondo tutto digitale.

Source code prende spunto dalle teorie della fisica quantistica, ovvero la capacità della materia di esistere contemporaneamente in diverse realtà parallele – il nuovo orizzonte della fantascienza che ambisce a divenire scienza -  per riportare il capitano Stevens, pilota di stanza in Afghanistan (Jake Gyllenhaal), indietro nel tempo nella mente di una vittima di un treno distrutto da un attentato nel quale tutti i passeggeri sono morti. Dovrà scoprire l’attentatore all’interno del convoglio e scongiurare l’attentato successivo, entrando e uscendo continuamente dal corpo dell’uomo in un continuo loop temporale. Infatti questa aura quantistica dura solo 8 minuti, prima che il treno esploda, ed esploda di nuovo e di nuovo ancora. Un thriller ottimamente congegnato nel quale ogni volta che il protagonista ritorna nel corpo della vittima nuovi indizi e particolari portano verso la soluzione finale.

Non bisogna essere ingegneri per seguire il film, Source Code è un rompicapo che necessita solo di un minimo di attenzione per comprenderne il meccanismo. La regola di questo  cinema di fantascienza impone la meccanica collimazione di tutti gli ingranaggi, un movimento sincronizzato che non lasci nulla all’immaginazione e risolva tutte le istanze rimaste aperte nella tipica successione dei livelli di stampo videoludico.  La sceneggiatura è strutturata per offrire, giustamente, step nei quali si aggiungono spiegazioni alla meccanica del passaggio tra la vita reale e quella fittizia facendo coincidere lo sbigottimento del protagonista al bisogno di indizi dello spettatore che viene guidato passo passo verso la risoluzione dell’enigma.

Azione e sentimento. Esistono realtà parallele che presumono vite sostanzialmente equivalenti ma con sfumature diverse che consentono di operare scelte in grado di mutare la successione degli eventi futuri. Questa è l’intuizione principe di Duncan Jones che non si limita a girare un semplice action movie alla Tony Scott. Le scene che si ripetono, otto-nove volte, sono simili e non semplicemente identiche poiché la vita è movimento, un complesso di azioni e scelte e un minuscolo variare di tensione, uno sguardo , una parola è in grado di sconvolgere la fredda ripetitività del programma generatore dell’illusione in un’ intuizione vitale. Il sé, l’implosione entro l’universo della propria intimità, diventa un nuovo mondo da esplorare, la nuova realtà da comprendere e abitare con lo stupore fanciullesco della rinascita.

La natura intimista di Jones, prevale sulla statura del thrilling che verso la fine accusa qualche cedimento nella struttura per scendere a compromessi con il bisogno di conferme dello spettatore, problema che riguarda la scrittura della sceneggiatura attenta a non creare qualcosa di troppo radicale. Così le ragioni dell’attentatore sono buttate un po’ lì in maniera sbrigativa e suonano più come riempitivo che come reale necessità narrativa e la virata melò con doppio finale non affievolisce il film solo per la sensibilità della regia di Jones.

Nonostante questo Source Code è godibilissimo, girato in maniera impeccabile e montato altrettanto bene tenendo alta la tensione fino alla fine. Connotazioni tecniche di primaria importanza se la credibilità è delegata alla precisione degli incastri temporali. Sono evidenti però le pennellate autoriali di Jones, sempre attento alle sfumature filosofiche che donano profondità a tutto il film. Come nel suo primo e più personale Moon l’umanità è slegata dall’esistenza, il corpo è solo un vessillo temporaneo che si piega al vento del tempo. La tecnologia, sempre controllata da un demiurgo inavvicinabile, diventa da strumento disumanizzante di potere a inaspettata risorsa di vita risorta dall’annientamento dell’etica come congegno di una morale universale mai sacrificabile. Quello che conta è l’essenza umana capace di trasmettersi e rigenerarsi in altri corpi, in altri tempi, in altre realtà possibili. Che la teoria dei quanti fosse applicabile all’amore è cosa estremamente recente

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