Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Pina aveva un modo suo di guardare le cose e questo mi affascinava molto, dava ampio spazio ai movimenti e all’espressione: non avevamo mai visto una cosa del genere. Nulla le si poteva nascondere, sapeva guardare attraverso le persone, con una enorme accuratezza, e un enorme amore. (Wim Wenders)
COSÌ DANZAVANO UNA VOLTA, IN ARMONIA,
LE FANCIULLE DI CRETA, CON I DELICATI PIEDI,
INTORNO ALL'AMOROSO ALTARE,
DELICATO FIORE D'ERBA
TENERAMENTE CALPESTANDO
Saffo
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Philippine Bausch, detta Pina, aveva danzato fino a quindici giorni prima, ma il suo ultimo ballo per il festival di Spoleto, a luglio di quell’anno, Bamboo blues, no, quello non ce l’aveva fatta.
Era il 30 giugno 2009, cinque giorni prima la diagnosi di un tumore, poi le luci si spensero all’improvviso, ci fu un silenzio attonito, come per i cari compagni del nostro viaggio immaginario nella vita.
Due anni prima le avevano consegnato il Leone d’oro alla carriera:
"Pina Bausch è un'artista che ha segnato una nuova via originale all'espressione scenica del corpo danzante e parlante, influenzando non soltanto la danza contemporanea, ma anche le arti ad essa contigue, mutandone gli orizzonti. La Bausch è una coreografa che ha innovato il teatro, rendendolo più che mai fisico e musicandone la drammaturgia: una regista che ha firmato montaggi sapienti di passi, suoni e testi per raccontare con la danza storie di persone, di individui, di vite, raggiungendo un pubblico tanto numeroso e vario, come la danza non aveva mai incontrato prima"
Pina aveva già incontrato il cinema.
Una delle tappe era stata Hable con ella, con frammenti dal suo spettacolo più famoso, Café Müller.
J’adore l’oeuvre de Purcell, Didone et Enée, mais la choreographie de Pina Bausch m’a assis! così Almodovar nei titoli di apertura.
Prima, nell’84, era stata La Principessa di Fellini in E la nave va e qualche annno dopo aveva girato Die Klage Der Kaiserin (Il lamento dell’imperatrice) suo unico lungometraggio, una serie di improvvisazioni di carattere onirico dei danzatori del Wuppertal Opera House, il Tanztheater nato nel ‘73 a Wuppertal, città immersa nel verde del Bergisches Land, cuore della sua attività creativa e centro della sua vita.
Wenders arrivò nell’’85, vide Café Müller e ne uscì conquistato.
Fu subito amicizia, sintonia di visioni e un progetto comune, portare il Tanztheater al cinema, ma serviva qualcosa di diverso, un linguaggio nuovo per tradurre in immagini coreografie che avevano rivoluzionato l’arte della danza e reso tangibile l’onda emotiva che si sprigionava dai gesti, i nodi di quel corpo teatrale totale che aveva reinventato il senso del tempo e dello spazio, il suo rapporto con l’estetica contemporanea e con la sua definizione del bello.
Pina aveva un modo suo di guardare le cose e questo mi affascinava molto, dava ampio spazio ai movimenti e all’espressione: non avevamo mai visto una cosa del genere. Nulla le si poteva nascondere, sapeva guardare attraverso le persone, con una enorme accuratezza, e un enorme amore. Le sue opere avevano in sé la sua emotività. Non sapevo come mostrarla”. (W.Wenders)
Vent’anni di attesa, arte e téchne dettano loro, sempre, i tempi e i modi, e il cinema tridimensionale arrivò e nacque il film per Pina, perché con Pina non fu più possibile.
Il 3D era il modo per farlo! Solo integrando la dimensione dello spazio mi sentivo fiducioso (piuttosto che semplicemente presuntuoso) di trovare il mezzo idoneo per trasportare il Tanztheater di Pina sullo schermo. (W.Wenders)
Dopo il film concerto U2-3D Wenders capì qual era la strada e nel 2008 con Pina iniziò il lavoro.
Oggi, 2011, Pina è arrivata alla Berlinale, a novembre sarà a Roma e infine candidata all’Oscar.
Il sogno di due grandi artisti si è realizzato e, ancora una volta, il cinema ha saputo annullare i confini fra i pianeti dell’arte.
Pina è presente solo in qualche immagine di repertorio, nel film c’è quello che deve restare della creazione di un artista, com’è giusto che sia, e i suoi danzatori lo interpretano in quadri tratti dalle opere più celebri, Café Müller, Le Sacre du printemps, Vollmond e Kontakthof.
Tutto ruota intorno a Wuppertal, le coreografie si sviluppano in interni ed esterni, scenografie urbane, periferia industriale, scorci di strade trafficate e cavalcavia, ma anche, a momenti, sfondi naturalistici di bellezza fiabesca, acque e radure fiorite, tappeti di foglie fruscianti, e poi di nuovo spogli interni rétro (lo spazio ingombro di sedie, indimenticabili materiali scenici messi ad interagire con le persone nel Café Müller) fino ad un palcoscenico vuoto.
Sul fondo uno schermo per un cinema nel cinema, le prime file degli spettatori di schiena e le due file di danzatori nel mezzo, con la loro gestualità antinaturalistica, tesa a parlare col movimento, facendosi allegoria visiva, arte figurativa animata, parola non verbale.
Gesto/azione, gesto/parola, il corpo come peso, materia, pressione sull’elemento terra e involucro che chiude, nasconde, ma è anche veicolo, porta da schiudere o forzare, tramite, medium, ponte tra il farsi del pensiero e il suo mostrarsi all’esterno.
Figlia di una cultura che ha fondato l’espressionismo nell’arte, Pina elabora con la danza una sintassi neoespressionista che dà al gesto il valore che Kandinsky dava al colore.
Come l'opera d'arte può vivere di semplici accordi di macchie colorate, non ha bisogno di riferimenti naturalistici, così la sua danza esclude piani narrativi e riferimenti di lettura convenzionale.
Il medium che l’artista sceglie non ha la neutralità del mondo naturale, è rivelazione di un mondo interiore, allude al mistero dell'esistenza.
"Il colore è il tasto. L'occhio è il martelletto. L'anima è un pianoforte con molte corde. L'artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l'anima." (W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte)
Wenders interpreta il linguaggio del Tanztheater costruendo un ipertesto che unisce una serie di frammenti, in “un caos non ricostruito”, da cui affiora il senso che Pina diede alla sua ricerca, la volontà di “sfondare la contemporaneità” con attori-danzatori in movimento in uno spazio che non è più lo scontato spazio euclideo tridimensionale della fisica classica, omogeneo e isotropo, misurabile in termini di lunghezza o distanza, ma è uno spazio simbolico, che può essere anche non-luogo, stazione di transito, passaggio di confine e perdita di identità.
Le coreografie di Pina Bausch avevano interpretato lo straniamento della contemporaneità, ponendo al centro l'uomo e la sua posizione nella società, declinando tutte le intersezioni dell’essere concretamente esistenze perennemente in bilico, mosse da una necessità interiore che ci fa protendere verso l’altro mentre corriamo inesorabilmente a schiacciarci contro un muro l’attimo dopo.
Non esiste una posizione privilegiata nello spazio, non ci sono punti di riferimento che diano una sicurezza che non si riveli illusoria, solo l’appassionato dialogo con gli elementi della natura, così spesso ricorrente nei suoi quadri (e Vollmond ne è un esempio), il ritorno alla verità del corpo nudo che recupera una naturalità interrotta dalla civilizzazione, possono lasciare un passaggio, permettere allo spirito di liberarsi.
Ma è solo un attimo, la ricerca riprende, instancabile, la sconfitta si avverte prossima, riecheggiano le parole di Musil:
“Le idee grandi e commoventi constano di un corpo che, come quello degli uomini, è compatto ma caduco, e di un’anima immortale che costituisce la loro importanza ma non è compatta, anzi, ad ogni tentativo di afferrarla con fredde parole, si dissolve in nulla.” (R. Musil, L’uomo senza qualità)
Wenders ha raccolto la grande lezione di Pina Bausch e l’ha consegnata ad un mezzo, il cinema, che supera i suoi stessi limiti, insinuandosi fra i danzatori, annullando la separazione fra pubblico e scena.
A tratti appaiono in primo piano i danzatori, ora l’uno ora l’altro, e dicono di lei e del loro vivere insieme.
Voci fuori campo continuano con frammenti di dialogo, sono voci di tante lingue che in quella di Pina avevano trovato la lingua comune:
DANCE, DANCE, OTHERWISE WE ARE LOST
Danziamo, danziamo, altrimenti saremo persi
Pina Bausch
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