Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
Ottanta minuti, un solo personaggio, una modestissima stanza di albergo come unico scenario. Le carte per realizzare un lavoro noioso e prolisso ci sarebbero tutte, ma questo El sicario - Room 164 gioca fin da subito il jolly sbrigliando la grafomania del suo protagonista; il killer professionista racconta infatti le sue vicende fra traffici di droga e morti ammazzati come mosche, con abbondanza di dettagli sulle torture compiute con la massima tranquillità nel corso della sua ventennale 'carriera' e fermando nel frattempo i punti salienti della sua storia, con un pennarello, su un bloc-notes. La bizzarra abitudine si mischia poi alla spiccata teatralità che l'uomo sfoggia nel corso della narrazione; quanto più la situazione si fa tragica e colma di pathos, tanto maggiore è il trasporto con cui viene esposta: la redenzione cui approda nel finale è un climax assoluto con il quale l'opera non poteva non chiudersi. Rosi intelligentemente lascia parlare il suo protagonista, che non pare avere alcun bisogno di stimolo esterno; il racconto è atroce quanto serrato e, pertanto, cinematograficamente riuscito. Ciò che si impara sulle forze dell'ordine messicane è sbalorditivo - di uno sbalordimento negativo all'ennesima potenza, raggelante, si intende; ma le accuse del sicario vanno a colpire perfino il governo del Paese e i poliziotti delle nazioni confinanti, Usa inclusi. El sicario - Room 164 è una testimonianza lancinante, che brucia come le violenze in esso raccontate, un atto coraggioso e civile che giustamente è approdato a Venezia 2010, racimolando peraltro due premi: come miglior documentario italiano e Fipresci. 6,5/10.
Un sicario del traffico di narcotici messicano espone la sua storia, a voce alterata e volto coperto; è una storia di droga e denaro, violenza e morte, sensi di colpa e redenzione.
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