Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Vincere l'Oscar non ha portato maggiori fortune a Pedro Almodòvar:nella decade successiva al meritatissimo trionfo agli Academy Awards con "Tutto su mia madre",il cineasta iberico ha realizzato una manciata di film che sempre di più hanno scontentato i fans e la critica solitamente favorevole al cinema dell'autore di "Legami!".E neanche la ricongiunzione con il divo che Almodòvar stesso scoprì e lanciò,Antonio Banderas,tornato a lavorare in una pellicola spagnola dopo anni di Hollywood,è riuscita a ricreare l'evento:gli incassi di "La pelle che abito",dopo l'interesse dei primi giorni,si sono rapidamente sgonfiati,e sui giornali i recensori hanno perlopiù mostrato il pollice verso.La storia,tratta dal romanzo noir ad un passo dall'horror "Tarantula",sfiora le corde grottesche tipiche del mondo almodòvariano,ma senza alcuna ironia a far da lubrificante:un chirurgo di non specchiata virtù rapisce il presunto stupratore della figlia,lo imprigiona e gli cambia sesso,divenendone in seguito l'amante,ma finisce tutto in tragedia e nel sangue.Si è parlato del mito frankensteiniano,dell'uomo di scienza che vuole sostituirsi a Dio,dei canali imprevisti delle passioni e della sessualità, ma più che altro la sceneggiatura di questo "horror dell'anima",come lo ha definito il regista,è scombinata fin troppo,procedendo per ellissi narrative,togliendo di mezzo personaggi alla brava,costruendo dal nulla un innamoramento per la "Creatura" da parte del perverso medico,andando a casaccio nella struttura a scatole cinesi che ormai contraddistingue il cinema dell'autore da "La mala educaciòn" in poi.Banderas fornisce una prova elegante ma senz'anima,Elena Anaya emana fascino sia nuda che vestita,ma il film non funziona,non è memorabile e non coinvolge,soprattutto,come molte altre pellicole dirette anni fa da questo regista che forse non ha più niente di molto interessante da dire.
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