Regia di Gianni Di Gregorio vedi scheda film
All’inizio è tutto come in Pranzo di ferragosto: Gianni è servizievole, squattrinato, eccede nel bere e ha una madre ormai prossima alla mummificazione. Poi un amico avvocato gli fa scoprire l’esistenza delle ragazze, e da quel momento la sua fantasia galoppa: la badante della madre, la giovane vicina del piano di sotto, una conoscente separata, due polpose clienti del suddetto avvocato, il primo amore di gioventù; ma alla fine si rassegna all’incombere della vecchiaia, riservandosi solo un rifugio nell’immaginazione. Il film è garbato (sin troppo), simpatico e strappa qualche sorriso, ma ha un orizzonte desolatamente angusto: si fa davvero fatica ad appassionarsi alle non avventure di un baby pensionato nullafacente il cui mondo si riduce alle quattro strade intorno a casa. Sono difetti che si potevano perdonare all’opera d’esordio, ma che alla seconda prova cominciano a stancare. E poi è troppo autocompiaciuto, troppo concentrato sul protagonista, su cui la macchina da presa si incolla mostrando ogni ruga, ogni smorfia, ogni tic: insomma, per usare una battuta vecchia ma appropriata, se Di Gregorio si spostasse potremmo vedere il film.
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