Regia di Gianni Di Gregorio vedi scheda film
Sembrerebbe un arguto controcanto della più scandalosa attualità: è la storia di un 60enne mite e impacciato, arrendevole strumento di un cosmo femminile (la madre anziana, la moglie remota, la figlia egoista, la vicina indifesa) che quando decide di cercarsi un’amante, perché così fan tutti, non solo non batte chiodo, ma se il suo principale sponsor, un avvocato libertino, gli fa inghiottire a forza una pillola di viagra, l’autore e attore Gianni Di Gregorio (responsabile di uno dei più sorprendenti esordi italiani degli ultimi anni, Pranzo di ferragosto) va in confusione e tampona un furgoncino. Maschera della perenne violenza della sveglia, due occhi come ferite in una faccia che ha milioni di modi per dire «mah…» e «certamente», nel film precedente c’era sembrato una inedita combinazione di Buster Keaton e Fantozzi, forse l’unica versione accettabile dell’italiano medio di oggi, pensionato per indole, fermo nella Storia, senza talento né desideri ma capace di sopportare qualsiasi nefandezza con tenera rassegnazione e di farsi bastare un prosecco e una carezza per sopravvivere a quasi tutto. Il suo virtuale seguito (il personaggio è lo stesso, come quello della madre di secolare malizia, Valeria de Franciscis Bendoni), raffina il tratto, arricchisce il paesaggio ma sembra anche un po’ annacquare il vino bianco nel bicchiere. Gli attori sono tutti gustosi, la luce di Trastevere dorata e ci sono pennellate di verità e di satira, come il moroso della figlia disoccupato e appagato, che non troverete nella montagna di commedie italiane sbarcate negli ultimi anni al cinema, eppure prima dell’ora il film inizia senza reagire a segnare il passo e si ha il sospetto che ciò che aveva da dire si sia esaurito nella sua fragrante enunciazione con le saporite postille. La finale allucinazione di benessere e accudimento delle molteplici protagoniste nei suoi confronti, che sa un po’ di harem felliniano, somiglia all’ingestione del viagra: più per dovere che per piacere.
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