Regia di Patricio Guzmán vedi scheda film
Dal libro dell'astronomo francese Michel Cassé, il documentarista cileno Patricio Guzmán torna con un film suggestivo e vibrante che tiene i piedi ben saldi sulle polverose e brulle lande del deserto di Atacama e gli occhi rivolti alla smisurata immensità degli spazi cosmici perennemente scrutati dalle gigantesche cupole del VLT sul Cerro Paranal
Dal libro Nostalgia della luce: monti e meraviglie dell'astrofisica dell'astronomo francese Michel Cassé, il documentarista cileno Patricio Guzmán torna sul tema a lui caro della travagliata storia cilena e delle ferite ancora aperte nella memoria del suo paese, con un film suggestivo e vibrante che tiene i piedi ben saldi sulle polverose e brulle lande del deserto di Atacama e gli occhi rivolti alla smisurata immensità degli spazi cosmici perennemente scrutati dalle gigantesche cupole del VLT sul Cerro Paranal.
Costruito come una sorta di riflessione etica sul senso del tempo e il destino dell'uomo, il film di Guzman rimanda alle suggestioni filosofiche del cinema di Herzog (da The Wild Blue Yonder a Cave of Forgotten Dreams) ma lo fa con la nostalgia e l'affetto che lo lega ad un popolo che abita da sempre una terra di confine, costretto a scavare il deserto per disseppellire e preservare la memoria di una storia controversa e dolorosa e nello stesso tempo incantato dalla ricerca di un passato ancora più remoto e primordiale che dalle estreme propaggini dell'universo ci restituisca un senso più profondo e consolatorio della miseria e la finitezza delle vicende umane.
Giocato sul parallellismo tra archeologia e astronomia come discipline che indagano il passato in direzioni diametralmente opposte e secondo une metrica temporale affatto inconciliabile, questo racconto di storie e aspirazioni pone al centro del suo discorso sempre e solo l'uomo ed il valore della sua memoria come misura per comprendere un presente di smarrimento e confusione, alternado al racconto accorato di una voce narrante quale raccordo di altre voci che ci parlano del dualismo insito in questa ricerca con le testimonianze di uomini e scienziati che rinvengono le vestigia di una presenza umana più o meno recente (dai corpi mummificati di pastori neolitici ai poveri resti delle vittime del regime di Pinochet) e di quelli che osservano lo spettro del calcio di quelle ossa così come si è formato nelle nursery stellari generate dalla morte violenta di altre stelle. La memoria insomma è un oggetto delicato sembra dirci l'autore, da trattare con la cura con cui si ricompongono gli scheletri dei nostri simili e la consapevolezza con cui si smette di credere di essere al centro dell'universo per guardare a noi stessi come parte di un tutto in perenne divenire.
Bellissime , tra le altre, le testimonianze dei sopravvissuti della ex miniera di Chacabuco trasformato in un campo di prigionia per oppositori politici, tra cui un gruppo di astrofili iniziati da un medico con la passione per i sestanti ed un architetto che ha preservato nella sua memoria i dettagli planimetrici delle carceri poi fedelmente riprodotti nei disegni della futura libertà di esule in terra di Germania; oppure quella dei due giovani astronomi figli di quella violenza che li ha allontanati dalla propria terra o dalla propria famiglia e per cui la scienza diventa un'occasione di riscatto e comprensione ultima. Meravigliosa la fotografia di Katell Djian come pure le caleidoscopiche immagini della gallery stellare dell'Hubble Space Telescope.
Miglior documentario all'European Film Awards 2010.
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