Regia di Andrea Molaioli vedi scheda film
Si scrive Leda, ma si legge Parmalat.
Andrea Molaioli ci riprova e, dopo l’esordio meritoriamente fortunato con “La ragazza del lago”, sforna un film costruito con un’evidente cura, pieno di rituali propri del mondo industrial-finanziario che (purtroppo) abbiamo imparato a decifrare un po’ tutti e ricco di scelte rappresentative che accompagnate ad una serie di indizi riportano il vago al concreto (cioè riferimenti che richiamano apertamente il crack della Parmalat) offrendo diversi spunti interessanti.
Ernesto Botta (Toni Servillo) è da sempre il braccio destro dell’amministratore della Leda Rastelli (Remo Girone) ed è “grazie” anche a lui se la società continua ad espandersi nonostante evidenti problemi gestionali ed economici.
Ma più il tempo trascorre, più i rischi negli investimenti aumentano e per tenere in vita il colosso dai piedi d’argilla sono necessari sempre nuove azioni illegali fino ad arrivare direttamente ad inventarsi soldi che proprio non esistono.
Imbrogli e sotterfugi in un crescendo che va di pari passo con un buco che si trasforma nel corso degli anni in una vera e propria voragine, una vita di sfarzi, investimenti gestiti con ingordigia e senza riuscire ad interpretare un mercato globale in perenne evoluzione (con il figlio che pensa solo a divertirsi coi soldi del “papi”), ricerche e piaceri obbligati a volte pagati anche a caro prezzo (vedi l’acquisto di una compagnia di viaggi senza speranza di risollevarsi).
Il film di Molaioli ha davvero tanto materiale da mostrare/vendere e sceglie una costruzione fredda, quasi tombale (proprio come le bare che disegna il ragionier Botta durante una riunione economica), con colori tendenti allo scuro, luci soffuse ad illuminare appena gli ambienti ed un buon passo con azioni che comportano sempre nuove pulsioni a seguire.
E sono tanti i riferimenti ai fatti realmente accaduti (il calciatore venduto alla squadra del Presidente del Consiglio, la domanda pungente di un comico rievocata da un giornalista, compagnie acquisite sotto minaccia) tanto che l’attenzione viene stimolata quasi come se il riconoscere i fatti potesse essere un “giochino” aggiuntivo.
Manca comunque la scintilla, soprattutto nella parte conclusiva, secca e fredda, un po’ troppo meccanica e laconica, per quanto in precedenza sia già stato detto il necessario e che il dopo sia scontato (ed anche necessario a ben vedere).
Non male gli attori, Servillo uomo tutto concentrato sulla capacità finanziaria della “sua” impresa, Remo Girone rende bene la parte dell’imprenditore sprovveduto che si ritrova in un gioco più grande di lui e senza via d’uscita, Sarah Felberbaum invece si ritrova in un contesto più impegnato rispetto al suo solito (…), ma la parte della figlia di papà che non si accontenta le riesce meglio del previsto (per quanto venga letteralmente abbandonata nel finale).
Concludendo direi che rimane un discreto film che crea atmosfere interessanti e che assume connotati di un cinema che sa andare oltre ai nostri (risicati) confini raccontando con un certo stile una vicenda tristemente nota utilizzando nomi inventati e quindi meno ingombranti, ma lasciando poco, o nulla, al caso o all’immaginazione.
Calibrato.
Regia più di circostanza che altro, ma vista la strada intrapresa direi che sa aggiustare il tiro spesso e volentieri quando serve.
Aspetto Molaioli con attenzione ad una nuova prova, sperando che preferisca strade magari più rischiose, ma anche più personali.
Preciso, freddo e cristallino, ovvero offre tutto quanto serviva al personaggio.
Validissimo.
Bravo a sottolineare l'inadeguatezza del suo personaggio ai tempi che cambiano.
Giustamente titubante.
Meglio del previsto/prevedibile anche se si poteva dare di più, ma il suo personaggio non deve nemmeno avere troppe sfumature.
Più che sufficiente.
Più che sufficiente.
Dove ce lo metti sta.
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