Regia di Andrea Molaioli vedi scheda film
Ascesa, declino e caduta della Leda (leggi Parmalat). “Noi vendiamo latte, yogurt, succhi di frutta, merendine ma soprattutto valori”, così ama ripetere Amanzio Rastelli il patron dell’azienda agro-alimentare. Un’azienda modello. Il ragionier Ernesto Botta è il cervello finanziario e figura centrale della storia filmica. Il senatore Crusco incarna la vecchia D.C. amica e protettrice di Rastelli. Non è difficile vedere “l’intellettuale della Magna Grecia” (Agnelli dixit) De Mita nel suo personaggio. Matteo Rastelli il figlio incapace addetto alla squadra di calcio che semina successi e trionfi (il Parma di Nevio Scala e Zola). E’ da questa figura marginale che Botta nota i primi squilibri societari (la Lamborghini e il presunto fuoriclasse Zizinho). Del management fanno parte il subordinato e convenzionale Cianchi, Magnaghi è il giovane direttore marketing, la nipote bocconiana di Rastelli Laura Aliprandi, ambiziosa e fascinosa viene affiancata al misantropo Botta, uomo meticoloso, grigio, abitudinario e da sveltine. Dopo alcuni attriti iniziali i due in America intrecciano futuri investimenti, strategie e una relazione sentimentale segreta. Il gioiellino Leda comincia a scricchiolare, i debiti aumentano, diversificare gli interessi non aiuta. Botta scopre che Laura ruba dalla società in combutta con lo zio. Il gioco a tre punte “Giornale, squadra di calcio e banca” evocato dal non più potente Crusco si rivela sibillino, infatti se le banche non accordano più prestiti i soldi bisogna inventarseli. Botta tornato alla solitudine dei suoi conti falsifica cifre e bilanci, Rastelli va in pellegrinaggio ad Arcore (un bel passaggio, molto attuale). Sarà tutto USELESS (inutile) come ci dicono le note del brano dei Depeche Mode, Magnaghi scopre il buco spaventoso e si getta da un ponte. “Non dovevamo tagliare i regali ai giornalisti”, chiosano Rastelli e Botta al termine di un’imbarazzante conferenza stampa. “Se la Fiat e la Telecom le salvano a noi ci hanno lasciato soli”. Così va l’Italia. Poco prima del commissariamento di un simil Enrico Bondi e dell’irruzione della Guardia di Finanza alla Leda si distruggono i file e le carte compromettenti, solo Botta non lo fa preferendo scrivere un Piano di Risanamento Aziendale. Questo finale ci sembra suggerire che i geni diabolici della finanza non dormono mai e avranno sempre una seconda opportunità nella vita. IL GIOIELLINO di Andrea Molaioli non è un film memorabile e stavolta non scomodiamo i grandi nomi del cinema impegnato italiano. L’opera seconda dell’autore de LA RAGAZZA DEL LAGO fa il suo dovere senza strafare, parte dalla cronaca (come nel suo primo titolo) e reinventa le varie fasi del crack Parmalat di Tanzi e famiglia prendendosi giustamente delle libertà. Si punta sulle dinamiche interpersonali e aziendali, lo sviluppo dei caratteri, il pregio maggiore sta proprio nel mostrarci l’estrema normalità dell’agere dei protagonisti, la banalità dell’imbroglio, il cinismo e l’opportunismo che si nascondono dietro la facciata di un’azienda o di un essere umano. La semplicità e la bonomia apparente di Rastelli resa molto bene da Remo Girone. La figura del ragionier Botta (o Tonna) è una maschera monocorde e dimessa (interpretata non eccelsamene da Toni Servillo), a modo suo prova dei sentimenti ma per uno squalo femmina più evoluto di lui. Laura Aliprandi è uno dei personaggi più interessanti: donna manager risoluta e determinata, un ibrido di tante cose interpretata con grazia da Sarah Felberbaum (una vera sorpresa). Renato Carpentieri impersona il democristiano vecchio stampo Crusco. Magnaghi è il manager lucido e di sani principi, fragile e sensibile. Non è l’anello debole che purtroppo si spezza ma una risorsa e una speranza in un mondo di carrieristi assetati di denaro e potere. Bravissimo Lino Guanciale, un nuovo volto da tenere d’occhio. IL GIOIELLINO potrebbe risultare schematico e prevedibile ma avercene però pellicole che ci raccontano il marcio dell’economia e della società italiana.
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