Regia di Andrea Molaioli vedi scheda film
La vicenda Parmalat (Leda nel film) dagli scricchiolii finanziari sul finire degli anni ’80 sino alla voragine dei primi anni 2000, non era facile da mettere in scena. Tutto sommato bisogna riconoscere che il film mantiene un bel ritmo ed è forte della presenza di due attori di grandissimo rilievo: Toni Servillo nel ruolo del Rag. Botta (chiaro riferimento al direttore finanziario di Parmalat, Rag. Tonna, ancora di recente rientrato in carcere per le notorie vicende) e quella di Remo Girone, nel ruolo di Amanzio Rastelli patron di Leda ed ispirato alla figura di Calisto Tanzi. Proprio il periodo intercettato dalla storia del film riprende quei 3 lustri scarsi in cui Parmalat, da azienda leader di mercato, sebbene legata profondamente a relazioni politiche e finanziamenti strettamente connessi alle logiche della Prima Repubblica, senza più questi equilibri o ancor peggio con nuovi referenti politici ed economici si tramuta in una spirale fuori controllo di magheggi economici e di corruzione. Già tra le prime sequenze, con “l’incoronazione” di Rastelli a cui viene conferita una laura ad honorem osserviamo che se da una parte la cerimonia è accolta tra i festeggiamenti dei notabili locali e delle autorità, nonché dalla narrazione dello stesso Rastelli sui valori che accompagnano la sua iniziativa imprenditoriale, tra le mura dell’azienda il potente ed irruento Rag. Botta deve smuovere le autorità capitoline per farsi finanziare le linee di credito ormai esaurite nei confronti dei fornitori. Il susseguirsi della vicenda, che introduce due figure chiave nella storia, l’arrivista nipote di Restelli, Laura Aliprandi e l’onesto Magnaghi intrepretano due facce delle nuove leve dell’azienda: da una parte l’arrivismo di Laura si uniforma ben presto alla situazione aziendale, anzi una volta introdottasi e divenuta presidente di una disastrosa divisione legata al mondo dei tour operator, si cimenta ad arricchirsi personalmente ai danni della stessa azienda, così come fanno i familiari e lo stesso Rastelli; dall’altra Magnaghi rappresenta una figura corretta e coerente, sebbene molto determinata nel suo lavoro, che non riesce a scendere a compromessi tra la sua natura onesta ed un contesto da cui emergono sempre più palesemente irregolarità. Il conflitto quindi tra la propria coscienza, il desiderio di denunciare le anomalie aziendali ed il timore delle ripercussioni di tutto questo portano quindi Magnaghi ad uno stato di profondo dissesto psicologico, spingendolo al suicidio (come in effetti avvenne ad un dirigente Parmalat).
Neanche queste vicende però fermano la spirale in cui Rastelli e Botta si sono ormai cimentati per tentare disperatamente di far proseguire le attività produttive dell’azienda: tra quotazioni in borsa sovrastimate, mazzette elargite ad autorità, bustarelle ormai all’ordine del giorno nei confronti di revisori dei conti e degli stessi istituti di credito, per non parlare di spericolate strutture di scatole cinesi tra società inesistenti o presenti in paradisi fiscali, ove vengono certificati crediti o liquidità che il gruppo in realtà non detiene. Gli ennesimi tentativi sia di rilanciare delle disastrose campagne commerciale ma soprattutto di ottenere di nuovo appoggi a livello politico, si rivelano ormai sterili e privi di efficacia (emblematico l’ultimo tentativo presso un potente uomo politico, appassionato di barzellette e proprietario di una squadra di calcio). Restelli arriva dunque a dover ammettere nei confronti degli istituti di credito la propria posizione: i bilanci sono falsificati e la liquidità vantata dal gruppo è inesistente. Questa vicenda quasi da film gangster (verrebbe persino da dire una sorta di The wolf of wall street in chiave emiliana) il regista si concentra più a narrare lo sfacelo di uno dei gruppi societari più importanti del nostro Paese, descrivendo il marasma interno all’azienda piuttosto che dare spazio (praticamente quasi assente) alle migliaia di piccoli risparmiatori trascinati in rovina da questa vicenda. Restelli e Botta rappresentano molto bene delle figure ancora provinciali, legate ad un modello imprenditoriale di vecchio stampo con tutti i suoi difetti e che improvvisamente inizia a sfruttare degli strumenti ben più complessi e che ne possono amplificare gli effetti (nonché i danni). Appaiono emblematiche le ultime riunioni in cui i protagonisti si vedono costretti ad accettare delle condizioni economiche scandalose pur di ricorrere al credito così come fa specie che l’intero castello di finti crediti o falsificazioni delle condizioni di salute dell’azienda si basasse su dei documenti contraffatti alla bell’e meglio, con tanto di bianchetto o collage di numeri. Ancor più sconcertante è che la vicenda sia in effetti andata così nella realtà, ove le società di revisione a suon di mazzette hanno praticamente chiuso gli occhi per anni di fronte a dei conti scandalosi. Detto questo il film riesce senz’altro a coinvolgere e quasi provare una certa empatia per questi protagonisti, in particolare Tonna che viene rappresentato come una figura quasi idealista nei confronti di una sorta di “causa” che ha sposato, ossia l’azienda. Meno efficaci invece alcune parentesi che sembrano un po’ artificiali: la segretaria che si presta a delle “sveltine” con il dirigente di turno piuttosto che la figura della nipote di Rastelli , Laura, che non si capisce, se non ai fini cinematografici, perché abbia anche una sorta di parentesi sentimentale/sessuale con Botta.
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