Regia di Martin Campbell vedi scheda film
Già abituato agli eroi mascherati (Zorro), Campbell non è quasi mai all’altezza dei suoi ottimi film di Bond (Casino Royale e Goldeneye) al di fuori della franchise spionistica. Lanterna verde infatti, trasposizione cinematografica di un eroe DC Comics, non offre molto per interessare.
Ryan Reynolds, attore con un debole per i supereroi (Deadpool in Wolverine e in un prossimo film a lui dedicato, già presente in Blade: Trinity, entrambi fumetti Marvel) e simpaticamente inespressivo, indossa la maschera e la tutina verde con la disinvoltura di chi ha addominali invidiabili. Sebbene i poteri delle Lanterne, corpo speciale intergalattico di protezione, siano sostanzialmente mentali (l’anello rende concreti i pensieri), il breve allenamento extraterrestre come la scelta dell’attore sembrano puntare sul solo fisico atletico.
Come ogni eroe designato, il personaggio è destinato a migliorare attraverso un rito di passaggio e il superamento dei propri demoni interiori, e anche Hal Jordan deve imparare a diventare responsabile, requisito minimo del supereroe come recita il motto di Spider-Man, e a sconfiggere la paura, dettaglio non irrilevante per un pilota di caccia convertito in guardiano con superpoteri. Ovviamente, la trama viene presto virata in commedia per superare l’eccentricità delle premesse e non si discosta da un teen-drama senza liceo (la bella contesa, il campione palestrato che ingelosisce il nerd, questi che si vendica con malignità) con aggiunta di traumi familiari virati al maschile nella competizione con la figura paterna (le donne, a parte la protagonista, sono poco presenti).
Sprecando ottimi comprimari (Tim Robbins, Angela Bassett), il film arranca con una stereoscopia visibile solo nei titoli di testa e di coda, elaborazioni digitali in ritardo di anni sui concorrenti, una sceneggiatura poco plausibile con misticismo grossolano e una venatura (verdastra, probabilmente) di new age perché la forza della volontà incanalata nell’anello è capace di dare materia ai pensieri (o ai sogni) ed è opposta alla forza distruttiva della paura. Vagamente luterano in salsa galattica, con monaci severi e leggi inflessibili con una vaga possibilità di redenzione nella fede (in sé e nella congrega verde) e la costante minaccia della tentazione assoluta, il film avanza per inerzia senza convincere né gli spettatori né il regista. Né, tantomeno, il personaggio principale, il quale sembra sempre scusarsi per trovarsi vestito in quel modo nei posti più inopportuni senza davvero meritarsi né l’anello né la sua compagnia circense. Di Lanterna verde, che non ha nemmeno il fascino dell'irrisolto, forse non faranno un sequel.
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