Regia di J.C. Chandor vedi scheda film
Il lato fiction di Inside Job: Margin Call racconta la Crisi e il suo punto di non ritorno, il momento in cui gli uomini che governano una banca di investimento diventano consci del tracollo. Ogni riferimento alla Lehman Brothers è tutt’altro che casuale: quel che conta, per Chandor, non è la ricostruzione storica dell’evento, ma la descrizione di quegli attimi, di quei minuti in cui nasce la consapevolezza della crisi. Tutto in una notte: nelle riunioni si sciorinano dati e parole, uomini e lupi lottano in doppiopetto per non affondare insieme alla banca, l’istinto di sopravvivenza obnubila, l’etica è una parola come un’altra. Quello che manca, ai protagonisti di Margin Call, è la conoscenza del bene pubblico, la percezione del nesso tra le scelte e l’effetto domino sull’intero sistema: per questo Chandor li aliena, li serra costantemente in interni (uffici, auto, locali). Per questo il finale, finalmente nel mondo, non può che essere funereo. Letteralmente, schematicamente. Assomiglia a una pièce, Margin Call, tende all’unità di tempo e d’azione, ma con tensione altalenante. E se è un film parlato perché privo d’eventi concreti (la finanza d’altronde è un’astrazione che anche i protagonisti faticano a comprendere) è, giocoforza, un film d’attori: trattenuto sotto gli abiti eleganti, si destreggia un cast da tripla A, corpo e voce di una tipologia umana che Chandor ci mostra da vicino. E che comprende, forse, ma non perdona.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta