Regia di J.C. Chandor vedi scheda film
Un film irrisolto, in tutti i sensi. Ottimo cast, premesse incoraggianti, ma il risultato lascia un po' a desiderare. Nel manifesto Kevin Spacey sembra essere il protagonista, ma non esiste un attore principale. Anzi, il regista sembra giocare con lo spettatore, lo illude: all'inizio c'è Stanley Tucci "wow fantastico, cominciamo bene!" e poi sparisce. Poi salta fuori Paul Bettany "yeah, siamo a posto!" e sparisce pure lui. Vengono create insomma delle aspettative che sono poi puntualmente insoddisfatte. Si crea una grande tensione per l'arrivo del capo supremo che sfocia poi in una delusione, sarebbe stato meglio farlo interpretare ad un viso sconosciuto, Irons è troppo familiare. Tira una leggera brezza di fronda, nel senso di condanna al mondo perverso della finanza, ma non si affonda il coltello né il dito nella piaga, anzi la soluzione finale puzza un po' di assoluzione. E se il regista sperava di turbare gli spettatori italiani non si illuda: qui da noi il cinismo, la mancanza di scrupoli e la vigliaccheria nel mondo del lavoro sono a livelli inimmaginabili per gli Stati Uniti, e questi finanzieri in Italia sarebbero solo pallidi discepoli, almeno in questo campo i nostri imprenditori sono molto più "avanti". Anche la terminologia e la cura dei dettagli non soddisfano: quando vengono affrontati argomenti squisitamente tecnici si resta sul vago o addirittura si sorvola, forse per non alienarsi l'attenzione del pubblico che trova indigeste le cose di Borsa.
Di positivo c'è il soggetto, ritmo, il montaggio, la sceneggiatura, la prestazione del cast, il flusso della narrazione.
Il nocciolo della questione, che è stato ben sviscerato da Michael Moore in "Capitalism: A Love Story", viene qui solo sfiorato di sfuggita, e temo passerà inosservato ai più: quando viene chiesto a Peter Sullivan (Zachary Quinto) da dove provenga, confessa candidamente di essere stato un ingegnere che progettava razzi, ma di aver scelto la Borsa perché in quel settore si guadagna molto di più. In altre parole, se qualcuno avesse il cervello per trovare la cura per il cancro, finirebbe invece a progettare algoritmi per fregare i piccoli risparmiatori. Perché così si guadagna di più. Ecco dove sta l'horror.
New York, banca d'investimento: Eric Dale, un pezzo grosso, viene cacciato su due piedi, prima di andarsene affida ad un novizio una chiavetta USB. Quest'ultimo la esamina e scopre che l'esistenza stessa della banca è in pericolo. L'orario di lavoro è terminato, ma comincia una lunghissima notte.
Nessuna musica pervenuta.
Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno? Buono nel dirigere il cast, nella narrazione, nel tratteggio dei personaggi, ma a mio avviso non sa tirar fuori tutto il possibile da un impianto molto promettente.
Buona interpretazione, è sornione, meditativo, ma viene aiutato dalla parte, forse la più simpatetica per lo spettatore. Si potrebbe quasi definire il "buono" del lotto.
Me lo aspettavo sulfureo, ma così non è, lo spazio è limitato e di conseguenza anche il risultato.
Come già detto, non lo trovo nella parte, il grande capo doveva avere qualcosa in più. Interpretazione onesta.
Altro italoamericano sulla rampa di lancio, credo proprio che ne sentiremo parlare molto in futuro.
E' Seth Bregman, il collega di Sullivan, interessato unicamente al guadagno, epitome di una gioventù senza valori.
La faccia buona di "The Mentalist" si trasforma nel più viscido e cinico del gruppo, Jared Cohen (cognome ebreo: razzismo?), l'interpretazione non fa una grinza.
Particina piccola piccola, difficile da giudicare.
E' così odiosa da essere diventata il capro espiatorio di Hollywood: metti lei, la fai bersagliare dalla sfortuna e lo spettatore esce dal cinema soddisfatto.
Peccato che le sue doti non vengano minimamente sfruttate, è la pecca maggiore della pellicola.
Fa parte del consiglio di amministrazione, due battute per lui.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta