Regia di J.C. Chandor vedi scheda film
La perdita del lavoro è un trauma ovunque, cui segue, oltre alla fine della carriera, la diminuzione dell’autostima. Per i manager americani, implica la perdita di alcuni privilegi-status: stop ai rapporti esclusivi attraverso il cellulare (é il 2011); stop all’assicurazione sanitaria, negli Usa non garantita a tutti.
Questo è l’immaginario, ma forse verosimile racconto dei retroscena della catastrofe Lemon-Brothers, inizio della crisi globale, evocato attraverso le iconiche immagini degli executives che costretti a lasciare gli uffici, percorrevano Wall Street con gli scatoloni in cui avevano raffazzonato in fretta e furia gli oggetti di loro proprietà, dopo l’annuncio del licenziamento
Il regista ricostruisce lo storico fallimento, mettendosi nei loro panni, condividendo la frustrazione e la delusione di chi era stato sedotto soprattutto dalle prospettive di ricchezza, ma anche di quelli che da trent’anni avevano lavorato alla L.B. credendoci.
Allorché, completando i calcoli di Eric Dale (Stanley Tucci) – dirigente di mezz’età appena licenziato – Peter Sullivan (Zachary Quinto) – ex promettente ingegnere – si rende conto dell’impossibilità di frenare la crisi incombente, viene decisa in piena notte la convocazione urgentissima dei responsabili dell’azienda ai livelli più alti.
La società non sarebbe stata salvata – impresa impossibile -. Il Boss dei Boss, John Tuld (Jeremy Irons), con una scelta condivisa, aveva deciso di vendere precipitosamente i titoli della finanziaria in borsa, facendone crollare il prezzo, ma garantendo la spartizione delle ricche spoglie fra i dirigenti più alti e fra quelli che erano informati e avrebbero potuto raccontare...
Che fine avrebbero fatto i risparmiatori, i piccoli azionisti, i possessori dei titoli derivati, acquistati in ogni angolo del pianeta?
La risposta di John Tuld era stata lucida e spietata: sarebbero state le vittime di turno, destinate come sempre a subire le leggi del mercato.
Il mercato – idolo crudele di una società che condanna la povertà come colpa – non può che punire coloro che, non occupando le stanze del potere economico e finanziario, non sono in grado né di resistere ai suoi richiami, né di controllare i propri investimenti, per ingenuità, per pigrizia, per incapacità: così va il mondo, così è sempre andato.
Il film non è sempre interpretato come si dovrebbe ed è forse troppo “parlato”.
Si salva, tuttavia, grazie ad alcune scene di icastica drammaticità, che mettono in luce, per metaforica contrapposizione, il gelo dei begli uffici – in cui si consuma nell’indifferenza generale il drammatico destino delle persone – e il fascinoso panorama notturno di New York, che, vista dall’alto di quegli uffici, appare più che mai attrattiva: quasi sirena dal fascino ambiguo e periglioso, che induce all’annullamento di sé, poiché le lusinghe del cupio dissolvi hanno la meglio, sulla razionalità che imporrebbe prudenza.
Non è possibile per i pochi sopravvissuti, neppure per l’onesto e disgustato Sam Rogers (Kevin Spacey) rassegnarsi a perdere quella visione, tornare alla vita "normale", manca il coraggio, soprattutto nei giovani manager, di saltare giù, ovvero di cambiare
Forse è questa la pagina migliore del film, insieme all’impressionante episodio del licenziamento di Eric Dale, seguito dalla perdita dei “privilegi" aziendali, del tutto analoga alla perdita dei gradi militari: umiliazione suprema, ingiusta, e per questo dolorosissima per lui.
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Presente ancora su RAIStoria, che ieri sera lo ha riproposto in prima serata.
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