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London Boulevard

Regia di William Monahan vedi scheda film

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La recensione su London Boulevard

di gerkota
7 stelle

Se nasci delinquente, muori da delinquente. È un consiglio. Non ti conviene cercare di diventare un bravo ragazzo e quindi abbassare la guardia, perché ci sarà sempre qualche vecchio nemico senza pietà che si farà vivo per farti la pelle.

 

 

Se siete curiosi di vedere la versione in salsa londirlandese del grandissimo Carlito's Way (Brian De Palma, 1993), eccovi servito un sintetico parere su questo London Boulevard, del regista-sceneggiatore bostoniano William Monahan (Mojave nel 2015 – mai sentito – l'altro suo unico successivo lungometraggio).

 

 

Intendiamoci, non stiamo parlando di un remake ufficiale né di una copia ufficiosa del filmone con Al Pacino, ma di un’opera filmica che di quell’illustre parente imita – volontariamente o no interessa poco – la parabola esistenziale del protagonista, che in questo caso è il tostissimo e fascinoso, Mitchell (il sempre incisivo Colin Farrell, anche nell’ottimo End of Justice - Nessuno è innocente nel 2017).

 

 

Il buon Mitchell esce di galera dove ha occupato il tempo a leggere di tutto ed è divenuto più saggio. Si ritrova con i suoi vecchi compagni gangster in una Londra dei giorni nostri, ma pretende di restare fuori dagli impicci, mentre si innamora di una bellissima attrice (Keira Knightley, La conseguenza nel 2019) mentre gli fa da guardia del corpo. La festa finisce presto e le buone intenzioni vanno a farsi benedire quando entra in scena un boss in stile “qui comando io e chi non ci sta è un uomo morto”, un perfetto Ray Winstone (La bottega degli errori, nel 2015) che obbliga il Nostro a deviare dall’intrapresa redenzione.

 

 

Il film parte lento e incerto ma ha il merito di crescere nel tempo grazie alle scelte di Monahan che aiutano ritmo e fluidità narrativa. Da citare la buona prova anche di David Thewlis (Il mistero di Donald C. nel 2018) nei panni dell'amico gay che sa come e quando trasformarsi in osso duro. Meno incisiva la citata Knightley, il cui personaggio resta un po’ troppo moscio fino all’epilogo. Soggetto e sceneggiatura hanno il merito di non farsi scrupoli col politicamente scorretto e nel servire un finale che di ‘happy’ non ha proprio nulla. Voto 7.

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