Regia di William Monahan vedi scheda film
David Thewlis sembra reincarnare il nichilismo del Johnny di Naked in una versione più sfatta e annoiata, e già ogni resistenza è vinta, specie quando se ne esce con battute come: «Oggi tutti si aspettano che tu sappia fare una cosa sola e per questo, io che sono eclettico, non faccio niente», oppure, parlando della giovane diva sua amica: «Se non fosse per Monica Bellucci, sarebbe l’attrice più stuprata del cinema europeo». Il personaggio è pura invenzione di William Monahan, sceneggiatore di Boston (collaboratore di Scorsese e Ridley Scott), che per la sua prima regia ha adattato il romanzo omonimo di Ken Bruen allontanandolo dal modello di Il viale del tramonto. Charlotte (Keira Knightley), l’attrice che Colin Farrell, nei panni dell’ex galeotto Mitchel, deve proteggere dai paparazzi, non è infatti una diva in disgrazia avanti negli anni, bensì una giovane stella colpita da esaurimento nervoso causa iperesposizione mediatica. Tra loro nasce del tenero, ma non siamo di fronte a un remake di Guardia del corpo, piuttosto si tratta di un gangster movie inglese con comprimari da urlo. A partire dal boss Ray Winstone, sempre gigantesco, e dal già citato Thewlis, fino a un Ben Chaplin insolitamente laido, passando per facce da strada come Eddie Marsan (forse lo ricordate istruttore di guida in La felicità porta fortuna. Happy Go Lucky) e Stephen Graham (l’Al Capone di Boardwalk Empire). Oltre all’ottimo casting, Monahan si avvale di una gran bella fotografia sgranata, con passaggi dal formato 1.85:1 al cinemascope per l’apertura e la chiusura del film, a inserire una storia piccola e dura in una cornice esplicitamente cinematografica. Del resto è chiaramente il film di uno sceneggiatore e si parla non poco di cinema: la diva Charlotte, infatti, non ne può più di ruoli femminili che servono solo a dare al protagonista maschile qualcuno cui raccontare le proprie pene e magari pure l’infanzia infelice. La metacinematografia e il gusto per i caratteristi incisivi prendono un po’ la mano al regista esordiente, che finisce con il disperdere le proprie attenzioni tra tante suggestioni e personaggi, ma i minuti scorrono veloci e a compensare le (comunque piacevoli) divagazioni arriva un finale sanamente antihollywoodiano.
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