Trama
Colin Clark, un impiegato al servizio di Sir Laurence Olivier, documenta l'intensa e tesa relazione in corso tra i due protagonisti del film Il principe e la ballerina, durante le riprese dello stesso. Una settimana con la diva Marilyn Monroe.
Approfondimento
NON SOLO MITO: MARILYN, DONNA E ATTRICE
Realizzando Marilyn, il regista Simon Curtis si è prefisso in primo luogo di rivalutare la figura di Marilyn Monroe come attrice dato che, secondo la sua personale impressione, per molta gente la Monroe è un'icona prima di essere un'attrice, convinto - forse non a torto - che oggi la si conosca più per le fotografie che la ritraggono piuttosto che per i film che ha interpretato. Proprio per questo motivo, il libro Il principe, la ballerina e io di Colin Clark ben si prestava a una trasposizione cinematografica, avendo al suo interno ben due differenti percorsi narrativi che raccontano le fragilità di Marilyn come donna da un lato e le sue peripezie sul set dall'altro. Com'è noto, infatti, il set de Il principe e la ballerina (1957) non fu per nulla tutto rose e fiori. Per la prima volta produttrice e attrice di una pellicola, la Monroe andò incontro a una miriade di problemi di produzione, alimentati esclusivamente dalla mancanza di comunicazione e comprensione con sir Laurence Olivier, regista e interprete maschile: mentre i comportamenti e i ritardi della Monroe erano apparentemente inspiegabili (ma poi facilmente riconducibili alla sua dipendenza dall'alcol e dalla droga), sir Olivier, da tradizionalista convinto, faceva fatica ad accettare le idiosincrasie dell'attrice e la sua devozione al metodo recitativo dell'insegnante Paula Strasberg. A completamento delle vicende legate alle peripezie sul set, interviene anche il testo La mia settimana con Marilyn, ideale secondo capitolo delle avventure della Monroe in terra inglese: pur essendo un libro di memorie, offre con forte impatto emotivo un'intima confessione di una donna, Norma Jean, che durante 7 giorni di fuga dalle riprese si mostra svincolata dall'aura della celebrità che i media avevano coltribuito a creare e coltivare.
Coniugandoli, Curtis ha deciso di trarne un solo film ma non con l'idea di realizzare un biopic su Marilyn: si tratta semmai di una finestra aperta su un momento particolare della vita dell'attrice che, in seria difficoltà sia sul set sia sulla vita privata, si lascia andare alla sua naturale essenza senza anteporre alcuna maschera divistica. Dopo essersi assicurato i diritti di entrambi i libri, Curtis e il produttore David Parfitt hanno coinvolto nel progetto lo sceneggiatore Adrian Hodges che, dapprima restio perché legato a un cliché troppo sexy della Monroe proveniente dalla interpretazione dell'attrice in A qualcuno piace caldo (1959), accetta di lavorare al copione dopo aver capito che il film avrebbe potuto depurare dagli elementi di leggenda l'immagine dell'attrice, divenuta nel tempo un'icona capace di influenzare generazioni future o di ispirare star internazionali come Madonna o Lady Gaga. Secondo Hodges, dalle memorie di Clark viene fuori uno sguardo al lato più reale di Marilyn: mostrando che la Monroe era come tutti si aspettavano - spaventata, insicura, frenetica e impossibile da gestire o accontentare -, Clark svelava anche una donna vulnerabile, dolce e affettuosa, facendola ritornare ad essere un essere umano prima che un simbolo irraggiungibile.
FUGA DAL SET E DAL MATRIMONIO
Nel testo di Clark, quando lui - nel ruolo di assistente di terza categoria - arrivò sul set per il suo primo giorno di lavoro, si imbatté da subito nel clima di tensione stabilitosi tra la Monroe e sir Olivier. Per entrambi era un momento molto critico della loro vita privata. Marilyn si era appena sposata con Arthur Miller e il suo trionfale arrivo all'aeroporto di Heathrow era qualcosa che la inorgogliva: era la compagna di un grande intellettuale e pensava che quello sarebbe stato l'uomo che l'avrebbe affiancata per sempre. Stava, inoltre, per varare il primo progetto da produttrice per la sua Marilyn Monroe Productions ed era arrivata fino in Inghilterra per lavorare con il grande Laurence Olivier, sperando finalmente di mettere a tacere le malelingue che mettevano in dubbio le sue capacità recitative.
Allo stesso tempo, Olivier stava cercando di ravvivare la sua carriera da attore, entrata in una fase di calo e a rischio obsolescenza a causa dei cambiamenti culturali in atto in Gran Bretagna. Per lui, Marilyn Monroe e la sua insegnante Paula Strasberg rappresentavano una sfida da vincere.
Sin dal primo momento, l'aria sul set si fece pesantissima e Marilyn cercava un appoggio, una valvola di sfogo e di distrazione, che trovò in Clark, l'unico a non mostrarsi minaccioso o scontroso nei suoi confronti e capace di aprirle, grazie alle sue origini e conoscenze, le porte di luoghi come il Castello di Windsor o l'Eton College durante una settimana carica di innocente intimità, in cui la Monroe cercò di dimenticare anche i dissidi con il neosposo, tornatosene inaspettatamente in America dopo un'accesa discussione.
LA SFIDA DI MICHELLE WILLIAMS
Per la parte della Monroe, il regista Curtis ha preso in considerazione solo un'attrice. Sin dal primo momento in cui ha deciso di realizzare il film, la sua Marilyn ha avuto nella sua mente il volto di Michelle Williams, considerata una delle migliori attrici della sua generazione. Dopo averla ammirata in I segreti di Brokeback Mountain (2005) e in Blue Valentine (2010) (due film che hanno portato l'attrice a sfiorare il premio Oscar), Curtis ne aveva apprezzato coraggio e doti recitative, tanto da non considerare mai l'ipotesi di far leggere il copione a qualcun'altra. Per la Williams, però, non è stato facile entrare nei panni del mito. Durante le riprese, ha dovuto costantemente lottare contro se stessa dandosi come compito quello di impersonare un'amica piuttosto che l'icona con il cui mito era cresciuta. Analogamente, è rimasta colpita da un aspetto privato: nell'accettare il ruolo di Marilyn si ricreava la stessa atmosfera che aveva vissuto la Monroe sul set di Il principe e la ballerina, quando doveva spazzare via dalla mente dello spettatore la prova di Vivien Leigh che aveva portato lo stesso suo ruolo a teatro.
Note
Più della ricostruzione di ambienti e vicende, precisa ma vagamente patinata, nel film conta la straordinaria interpretazione di Michelle Williams. Indossando Marilyn sull’anima prima che sulla pelle. Un gioiello di performance che vale il biglietto per un film altrimenti modesto.
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Commenti (3) vedi tutti
“My Week with Marilyn” dice – meglio del titolo italiano – di che cosa si parla nel film, che non è un biopic, ma il diario dei 7 giorni vissuti con Marilyn, da un giovane neolaureato di Oxford, col pallino del cinema.
leggi la recensione completa di laulillaCast completamente sbagliato. Il protagonista sembra meno etero di Malgioglio, Emma Watson molto più bella della finta Marilyn con la faccia da polpettona...e poi noioso. Voto 5
commento di arcarsenal79Purtroppo il solito polpettone senza mordente ma con tanta noia e neanche la spigliata Williams non riesce piu' di tanto a reggere il confronto in simbiosi con il Mito di Marilyn Monroe ; visione totalmente sprecata.voto.1.
commento di chribio1