Regia di Simon Curtis vedi scheda film
Marilyn è un film ben girato su una piccola storia aneddotica, ammantata di grazia e levità.
Rispolverando il libro autobiografico di Colin Clark (e, di riflesso, una leggendaria icona del cinema hollywoodiano), S.Curtis soffia polvere di glamour e nostalgia sugli astanti. I suoi tentativi di seduzione, invero, non sempre vanno a segno, ma lo spettacolo offerto è pur sempre un bel vedere.
Marilyn è un film gradevole e fascinoso. Un film che sprizza malizia e leggerezza da ogni inquadratura, benché, a conti fatti, racconti il fugace incontro fra uno struggente dramma esteriore (la difficile gestazione, nel 1957, del film Il principe, la ballerina) ed uno interiore (la cotta del protagonista C.Clark/E. Redmayne per la diva). Perché lo stress e la fatica della gavetta svaniscono davvero in un soffio. Quello di Marilyn.
Mentre il ritmo dinamico e brioso del racconto fa strada alla curiosa esperienza del protagonista fra le insidie dei retroscena più imbarazzanti sul vissuto e sull’arte recitativa della Monroe (in particolare la sua ossessione per il metodo Stanislavskij), cresce, infatti, nel cuore pulsante del protagonista medesimo, un sentimento travolgente. Così, la vellutata frenesia delle prime sequenze egli trasporta fra le braccia capricciose di una Marilyn irresistibile, ovvero sospinge il film sui lidi di un romanticismo trasognato; surreale e delizioso, quanto volubile.
Un romanticismo che plasma il film in questione sulla falsariga di un genere che solitamente non è nelle mie corde, ma che, alle dovute condizioni, so apprezzare anch’io.
Ed (anche) assistere alla mimetica impersonificazione, da parte di Michelle Williams, della diva in parola (la Williams non interpreta Marilyn; è, semplicemente, Marilyn!) è una di quelle.
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