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Manuale d'amore 3

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Manuale d'amore 3

di FilmTv Rivista
4 stelle

Bob De Niro che sgambetta come Jerry Lewis mentre fa uno spogliarello, Verdone e Donatella Finocchiaro (ma quanto è bella?) che fanno i maialini a letto, Michele Placido che fa un portiere di stabile con accento pugliese e ci ricorda che un buon attore è qualcosa di interessante e prezioso quanto un attore che sa fare il regista: sono le cose migliori di un film sull’amore per il quale è difficile prendersi una cotta. Giovanni Veronesi non è un personaggio qualsiasi nel cinema italiano di oggi. Ha imparato a parlare al grande pubblico alla scuola di Nuti, ha aiutato per anni una fetta di cinema commerciale a chiudere un copione e non soltanto a costruire sketch. Però, quando fa il regista e punta a qualcosa di più di tutto questo, non sembra mai avere il coraggio di farlo fino in fondo. È un limite ancor più visibile in questo film, numero 3 di una serie del produttore che ha fatto le serie comiche più longeve di tutto il cinema, Aurelio De Laurentiis. Il film, insomma - e il cronista deve sottolinearlo - nasceva da un’idea produttiva ambiziosa, spavalda, come quelle dei più grandi produttori italiani del Dopoguerra: una grande star americana, la diva italiana più nota in tutto il mondo (Monica Bellucci), il più bravo comico dai tempi di Sordi (Verdone). Il risultato non è all’altezza di questa idea enormemente più ambiziosa dei produttori italiani che sognano un diritto d’antenna o un contributo pubblico per ricavare il loro profitto e strafottersene del film. Né Veronesi né De Laurentiis lo fanno (basta pensare all’investimento promozionale). Però il primo episodio con Scamarcio e la Chiatti a Castiglione della Pescaia sa proprio di Pieraccioni, il secondo vive degli assoli di una ninfomane bipolare (la Finocchiaro) e di un anchorman con parrucchino biadesivo (Verdone), il terzo è ambientato in un’Italia che non c’è, fatta di bellezze archeologiche e condomini dove tutti si salutano e si invitano a cena. Un

tassista cupido in uno stato ipnotico che sospira cuoricini tra un episodio e l’altro, non aiuta. Bonus: quando De Niro parla in italiano, l’appassionato sussulta per l’emozione. Non lo faceva dai tempi di Il padrino parte II.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 9 del 2011

Autore: Mario Sesti

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