Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Ultimamente mi capita di pensare che il mio rapporto con il cinema abbia delle sfaccettature di masochismo puro: non si spiegherebbe altrimenti la pervicacia con la quale insista ad autoinfliggermi la visione degli agghiaccianti "Manuali d'amore" di Giovanni Veronesi. Chi ha avuto la bontà di seguire le mie opinioni, sa che detesto assai poco cordialmente le "nuove" commedie all'italiana che, da qualche anno, imperversano al cinema con grande successo di pubblico: la mia non è, ve lo assicuro, la classica spocchia del cinefilo sussiegoso che, dall'alto del piedistallo del cosiddetto cinema d'autore, rivendica di essere migliore del "volgo" nella stroncatura a sopracciglio alzato di pellicole "popolari" e "di cassetta" (tranne poi rivalutarle, in maniera ancora più snob, qualche anno dopo, quando queste vengono celebrate, per motivi spesso imperscrutabili, nei salotti buoni dello stracultismo giornalistico e televisvo. Molto banalmente trovo che la nuova commedia all'italiana sia vuota (non pretendo l'impegno del neorealismo, ma almeno un minimo di zeitgeist), finta (perché mette in scena un'Italia che non esiste, se non nelle telepromozioni Mediaset, facendo per di più credere che quella sia la realtà) e profondamente banale (nelle frasette dei Baci Perugina ci sono riflessioni sull'amore decisamente più pregnanti di quelle snocciolate nei film di Veronesi), diretta discendente dell'appiattimento delle coscienze indotto dalle avvilenti fiction televisive. Peraltro mi dispiace andarci giù così duro: il pratese Giovanni Veronesi, già sceneggiatore per Nuti, Pieraccioni e Ceccherini, nonché regista in proprio con pellicole di scarso successo, prima di fare il botto con il primo "Manuale d'Amore" e scagliarsi senza ritegno sul piatto ricco con i vari "Italians" e "Genitori e figli", è personaggio simpatico, che ha sempre scritto e diretto roba commerciale ma tutto sommato sempre con una certa dignità e facendo leva su una comicità molto toscana, sospesa su una sottile vena surreale, tra scorrettezza politica e buoni sentimenti, con agro e dolce somministrati in giuste dosi. I suoi nuovi film, invece, sono semplicemente indifendibili: macchine mangiasoldi e staccabiglietti, prodotti di plastica usa e getta. Non fa eccezione "Manuale d'Amore 3", strutturato ad episodi come i precedenti e, in questo caso, con la risibile ambizione di rappresentare le tre età dell'amore, con l'imbarazzante trait d'union di un giovane tassista/Cupido, sul quale preferirei calare il proverbiale velo pietoso. Il film comincia subito malissimo con l'episodio "Giovinezza" (ma "Addio al celibato" sarebbe stato più calzante), decisamente il più sconsolante del terzetto, a cominciare dall'involontariamente ridicolo monologo d'apertura del protagonista (mai sentite tante cretinate condensate in così poco tempo): Roberto (Riccardo Scamarcio, una bella "faccia da cinema", checchè ne dicano i suoi tanti detrattori, come al solito impiegato in un ruolo del tutto inadatto), un giovane e rampante avvocato alle soglie del matrimonio con la dolce e (fin troppo) virginale Sara (Valeria Solarino, bella, brava e sprecata), viene spedito in Maremma a convincere una famigliola di contadini ad abbandonare la loro casa per permettere la costruzione di un campo da golf. Irretito dall'atmosfera svagata di Castiglion della Pescaia, coinvolto nelle zingarate di un gruppo di amici guidati da un improbabile vigile burlone (Dario Ballantini, molto più convincente quando fa le imitazioni in tv) e sedotto dalla provocante Micol (Laura Chiatti, probabilmente una delle peggiori attrici italiane di tutti i tempi), Roberto rischierà di mettere in discussione il proprio matrimonio... con un finale (che non vi anticipo) all'insegna dell'ipocrisia e del perbenismo più imbarazzanti, conditi dai soliti fastidiosissimi stereotipi sui "simpatici toscanacci". Superato faticosamente il primo episodio, si può tirare un (sia pur vago) sospiro di sollievo con il secondo, "Maturità" (ma anche "Attrazione fatale alla vaccinara" potrebbe andare), nel quale assistiamo alla scappatella dell'anchorman Fabio Renzullo (Carlo Verdone) con una bella sconosciuta (Donatella Finocchiaro, discreta) che si rivelerà essere una persecutrice squilibrata che gli metterà a soqquadro l'esistenza (ma non aspettatevi satira di costume o denuncia sociale sul fenomeno sempre più diffuso dello stalking). L'episodio, per fortuna, lascia da parte le riflessioni pseudo-filosofiche sull'amore per concentrarsi sulla comicità pura del sempre bravo Verdone che gigioneggia con mestiere, senza troppo strafare e senza nulla di significativo da aggiungere al suo lungo curriculum, ma riuscendo a cogliere l'obiettivo minimo di strappare qualche risata. L'ultimo episodio, "Oltre", davvero noioserrimo, ci racconta di Adrian (Robert De Niro che recita in goffo italiano, un pesce fuor d'acqua, pallida ombra del meraviglioso attore che fu, ormai inflazionato in tanti, troppi, film di livello bassissimo) un anziano studioso americano che, dopo la perdita della moglie e un trapianto di cuore (nemmeno tanto ardita metafora del ricominciare ad amare) vive da qualche anno a Roma, in uno stabile presidiato dall'impiccione e chiassoso portiere Augusto (un dialettale Michele Placido, a tratti abbastanza divertente). Il ritorno in Italia della bella Viola (Monica Bellucci, davvero imbarazzante), figlia di Augusto, con un passato da lapdancer a Parigi ed un presente incerto ed oberato da debiti, farà ricominciare a battere il "nuovo" cuore di Adrian, fino all'imprevista catarsi di una nuova nascita. Un episodio francamente deplorevole: non si ride, non ci si commuove, la coppia De Niro-Bellucci è davvero male assortita e il messaggio di fondo ("non è mai troppo tardi per ricominciare a vivere ed amare) è di una banalità sconcertante. Questo è quanto: "Manuale d'amore 3" è una pellicola del tutto inutile e a tratti involontariamente ridicola, della quale mi sento di salvare solo la bella (ma fin troppo patinata) fotografia (di Tani Canevari) e qualche gag verdoniana: il resto è notte fonda, come purtroppo sempre più spesso accade nel cinema italiano. Voto parecchio mediocre.
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