Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Spiegare l’amore, declinarlo attraverso una serie di situazioni paradigmatiche. Renderlo fruibile anche a chi generalmente refrattario alle contraddizioni di un sentimento tanto bello quanto complicato. Storie in cui riconoscersi ma soprattutto attori riconoscibili a cui consegnare il compito di divulgarle. Pensato secondo un modello di cinema più attento alla confezione che alla sostanza, la terza puntata della serie diretta da un regista specializzatosi nei film ad episodi ripropone in una cornice come al solito svincolata dalla cronaca quotidiana –il frammento di Carlo Verdone costretto a recitare il mea culpa occidentale sotto la minaccia di un sedicente terrorista è un tentativo poco convinto di invertire la tendenza- e con i toni da elegia contemporanea, le vicende di un gruppo di personaggi coinvolti per differenti motivi nella tenzone amorosa. E’ ancora una volta il caso, costruito ad arte da un (improbabile) cupido che di mestiere fa il tassista oltre che l’arciere, a rompere le uova nel paniere di vite già indirizzate e poi sconvolte dall’entrata in scena di una variabile, che nel film di Veronesi ha il volto e soprattutto il corpo della femme fatale. Monica Bellucci in fuga da Parigi, Laura Chiatti sposa irrequieta di un padre marito e Donatella Finocchiaro, crazy woman con tendenza allo stalking, sono le erinni di un sodalizio femminile pensato per esaltare le debolezze del maschio italico e non solo- l’entrata in scena di Robert De Niro nei panni di un maturo professore americano sembrerebbe dirci che il vizietto non è una caratteristica nostrana- e per ribadire, se mai c’è ne fosse bisogno, la forza di un sentimento che fa girare il mondo. In realtà “Manuale D’amore” è un prodotto studiato a tavolino per esaltare le strategie di marketing della casa di produzione che può esaltarsi mettendo in cartellone attori di diversa provenienza artistica ma di indubbio appeal estetico e poi mediatico, e per rincorrere quel successo al botteghino che ormai sembra essere una faccenda esclusiva delle commedie merchandising, quelle capaci di riunire sotto le stesso tetto attori ed attrici capaci di soddisfare le golosità di un pubblico eterogeneo per età e preferenze. Una specie di cinepanettone ripulito che sostituisce gli eccessi di quello con un relativismo emozionale capace di mettere sullo stesso piano fortune e disgrazie, talmente leggera è l’incidenza delle une e delle altre sull’umore dello spettatore. Insomma un intrattenimento annacquato sul quale pesa come un macigno la presenza di un copione latitante nell’intreccio così come in quello delle idee, e persino imbarazzante nell’ultimo episodio, quello più atteso per la presenza del divo scorsesiano, e risolto dallo stesso con una serie di tic e di faccette così insistite da diventare irritanti. Lo stesso si potrebbe dire di Carlo Verdone ancora una volta nei panni del marito fedigrafo, un ruolo che evidentemente gli si addice, e che l’attore romano interpreta facendo il verso ai personaggi dei suoi film precedenti, in un trionfo di ignavia e qualunquismo, seppur condita con la solita aria da cane bastonato. A salvarsi sono forse Scamarcio e la Chiatti che nell’episodio che apre il film, quello in cui un giovane avvocato in trasferta di lavoro ed in procinto di sposarsi rimane ammaliato dal fascino esuberante di un intraprendente ragazza, riescono a supplire con la loro freschezza all’insipienza di una trama che dal triangolo amoroso non riesce a ricavare altro che banalità verbali e sfondi da cartolina. Troppo poco anche per il pubblico nostrano che infatti non ha gradito.
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