Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
C’era una volta Robert De Niro…l’attore mito di due generazioni tra poco ce lo troveremo sdraiato sul divano di casa mezzo sordo e assonnato come è apparso a Sanremo e da Fazio. E non mi si dica che sono divi umili e bla bla bla, no sono semplicemente bolliti, ormai accettano qualsiasi marchetta, vedi Dustin Hoffman che pubblicizza le Marche ed è in caduta inarrestabile da un decennio. Che dire pure dei divi emergenti come George Clooney che gira per i paesini della mia provincia senza tirarsela e la Canalis invece che si defila perché la vera “diva” oggigiorno è lei. Il mondo è rovesciato, ma questo è un altro discorso. Tornando ai veri divi, Al Pacino e Jack Nicholson resistono. E che Dio ce li conservi. Ma passiamo a Giovanni Veronesi, un regista che si ritiene davvero fortunato, sta con una brava attrice come Valeria Solarino (è questa la vera fortuna!), macina una commedia all’anno, incassa quasi sempre alla grande e stritola star e attori nostrani. In principio era PER AMORE SOLO PER AMORE (il suo miglior film e il primo incontro con la Filmauro), una rilettura delicata della storia dei genitori di Gesù Giuseppe e Maria, tratta da un racconto di Pasquale Festa Campanile e interpretata con grazia da tre bravi attori (Abatantuono, Penelope Cruz e Alessandro Haber). Il disastro IL MIO WEST con l’amico Pieraccioni (un mistero pari solo a quello della Sacra Sindone, con tutto il rispetto…) e gli smarriti Harvey Keitel e David Bowie. Poi il passaggio dal fallito Cecchi Gori ad Aurelio De Laurentiis. E veniamo a MANUALE D’AMORE 3, terzo capitolo sulle stagioni dell’amore. Francamente non trovo nessuna differenza tra questo e i primi due, tra ITALIANS e GENITORI E FIGLI. Sembrano tutti girati con la carta carbone. Il buon Carlo Verdone è il suo feticcio attuale, pure lui orfano del compare Cecchi Gori e quindi caduto tra le braccia fameliche di Aurelio. Veronesi se avesse un po’ più di coraggio potrebbe ambire al massimo a diventare il nuovo Sergio Martino (e non è un’offesa), le sue trame sono aggiornamenti edulcorati di quelle pochade e se velocizzasse le gag sarebbe perfetto, magari inserendo la scena clou della doccia alla Fenech il salto sarebbe definitivo. E Verdone ovviamente è il Lino Banfi degli anni zero e oltre, costretto a ripetere meccanicamente stessi ruoli e battute, stavolta c’è la trovata del parrucchino (“uno sforzo con l’ernia” direbbe il Romeo di SONO PAZZO DI IRIS BLOND). Quanto ci mancano Benvenuti e De Bernardi che sapevano dare la quadratura delle gag tra testo, contesto e battuta. De Niro come detto all’inizio va col pilota automatico e pare abbia recitato sotto l’effetto delle mozzarelle di bufala (e si vede!) dell’ottimo Michele Placido (lui sì che non perde colpi). Sulla Bellucci e sul resto del cast meglio stendere una serie di veli pietosi. Dice bene Mario Sesti, queste pellicole rappresentano un’Italia che non c’è, da Tg1 e Tg5. E sarebbe ora di disertare le sale (io per primo) e riempire le piazze…calma! Infine c’è lui, il re dei produttori italiani, Aurelio nipote degenere di Dino (che aveva il suo carattere e i suoi difetti ma almeno era un vero uomo di cinema) e con un figlio pronto ad affiancarlo in future imprese. Prepariamoci al peggio con l’imminente prequel di AMICI MIEI. Già, se in politica non ci libereremo facilmente dei Berluscones tra figli e cloni vari, anche in campo cinematografico non avremo scampo. O tempora o mores! Quasi quasi viene da rimpiangere Cecchi Gori che sapeva alternare cinema commerciale e cinema d’autore, ma sì ARIDATECE CECCHI GORI!
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