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Unknown. Senza identità

Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Unknown. Senza identità

di 79DetectiveNoir
7 stelle

 

Oggi, recensiamo Unknown, sottotitolato Senza identità. Pellicola uscita sui nostri schermi, distribuita dalla Warner Bros, a fine Febbraio del 2011.

Per la regia di Jaume Collet-Serra (Orphan), Unknown rappresenta la prima collaborazione fra questo cineasta di ampie prospettive, ancora un po’ immaturo eppur d’indubbio talento, e il coriaceo, immarcescibile Liam Neeson.

Come infatti sappiamo, Collet-Serra e Neeson avrebbero poi lavorato nuovamente assieme in Non-Stop, nell’ottimo Run All Night e nell’hitchcockiano, ingegnoso, assai sottovalutato, invero ottimamente orchestrato e sofisticato L’uomo sul treno.

 I due, peraltro, avrebbero anche dovuto girare un altro thriller adrenalinico dal provvisorio titolo Retribution. Ma, in merito a questo progetto, annunciato qualche anno fa, non abbiamo più avuto recenti aggiornamenti.

Torniamo però ora ad Unknown. Film della durata massiccia di un’ora e cinquantatré minuti, un film imperfetto eppure robusto e avvincente, corposo e tosto quasi quanto il fisico corporeamente aitante del sempre vigoroso Liam Neeson. Qui, in una delle sue migliori prove recitative degli anni duemila.

Sceneggiato da Oliver Butcher e da Stephen Cornwell che si sono ispirati al libro Fuori di me dello scrittore Didier Van Cauwelaert.

La trama di Unknown è piuttosto semplice se volessimo sinteticamente delinearla e definirla chiaramente entro contorni netti. Invero, è assai arzigogolata e piena di risvolti narrativi sorprendenti, inquietanti e inaspettati che, oltre a mischiare continuamente le carte in tavola fin dai primissimi, frenetici, incalzanti minuti in poi, complicano non solamente l’intreccio, bensì depistano e spiazzano interminabilmente lo spettatore che, come il personaggio incarnato da Neeson, viene perennemente messo in difficoltà e disorientato, assistendo a tutta una serie di eventi tanto rocamboleschi e grotteschi quanto paradossali, appassionanti e assai accattivanti.

Il dr. Martin Harris (Neeson) s’invola per Berlino in compagnia della sua giovanissima e sexy moglie bionda (January Jones) per presenziare a un importante congresso incentrato sulle biotecnologie.

Al suo arrivo in albergo, ricorda tardivamente di aver dimenticato all’aeroporto alcune valigie contenenti i suoi documenti. Principalmente, ha scordato il passaporto al deposito bagagli.

Cosicché, senza neppure salutare sua moglie né presentarsi in albergo, chiama sveltamente un taxi per tornare all’aeroporto. Le strade, innevate e scivolose, sono inoltre molto trafficate.

Al che, Harris concorda con la tassista Gina (Diane Kruger) di svoltare per una via alternativa. Insieme prendono una scorciatoia. Ma presto, per scansare uno spericolato motociclista in contromano, la tassista compie una brusca manovra, non riuscendo ad evitare di precipitare, col suo tassì e il suo passeggero, nel fiume.

Harris perde conoscenza e rischia di affogare. Al che, la tassista riesce a salvarlo disperatamente. E, con l’aiuto degli infermieri accorsi in loco repentinamente, Harris viene immantinente rianimato malgrado il suo cuore si sia fermato per svariati minuti di suspense trepidante.

Cade perciò in coma e vi rimane per quattro giorni. Si risveglia nella sua camera d’ospedale in stato confusionale. Dopo le opportune cure mediche ricevute, chiede frettolosamente le dimissioni poiché preoccupato di aver lasciato da sola, per quattro giorni, la sua consorte in una città straniera.

Con sua sconvolgente sorpresa, Harris, al suo ritorno in albergo, non viene riconosciuto da sua moglie.

La quale dichiara assurdamente di essere sposata felicemente con il vero Martin Harris (Aidan Quinn). Che, a sua volta, afferma di non sapere chi sia quest’uomo che sostiene di essere nientepopodimeno che Martin Harris stesso.

Chi mente? Chi ha ragione? Harris/Neeson si sta inventando tutto? È semplicemente un pericoloso mitomane, un uomo impazzito, vittima del suo spaesamento in un ambiente per lui del tutto nuovo e ostile?

Lo saprete solo vedendo Unknown sino alla fine poiché, ovviamente, noi non vi sveleremo altro.

Ora, la trama di Unknown, di primo acchito, potrebbe sembrare una banale scopiazzatura del Frantic di Roman Polanski.

Anche se, nel caso della pellicola di Polanski con Harrison Ford, l’ambientazione fu Parigi, anziché Berlino.

Ford interpretò sempre un medico giunto nella capitale francese per un meeting ma a scomparire fu sua moglie. Ricordate?

Ebbene, malgrado le forti somiglianze di partenza col grande film di Polanski, a dispetto di alcune, forse perfino volontarie e citazionistiche analogie ineludibili, Unknown vive comunque cinematograficamente dell’inconfutabile, evidente, peculiare autorialità di Collet-Serra. Che non possiamo ancora chiamare autore ma che sta migliorando di pellicola in pellicola. Ed egregiamente si farà.

Capace, a prescindere da alcune inverosimiglianze e vistose incongruenze, d’infondere alla sua pellicola una chiara lucentezza e una granitica compattezza. Naturalmente, non ci riferiamo alle atmosfere piovose, fredde e invernali in cui è immersa questa spettrale, misteriosa storia da giallo psicologico ben sviluppato e seducente. Bensì alla coesa brillantezza di un film mozzafiato che non lascia tregua.

Sì, Unknown, lasciando stare alcuni difetti, finanche rimarchevoli, però inevitabili quando si ha a che vedere con trame complottistiche che, per esigenze di minutaggio, debbono risolvere alcuni enigmi insoluti con una certa faciloneria, perdendo dunque spesso di vista la veridicità stessa di molte situazioni troppo superficialmente filmate e spiegate senza troppe approfondite digressioni, è un film che ammalia.

Lo si può, insomma, godere davvero amabilmente. Forse anche per merito, come sopra accennato, di un Liam Neeson straordinario, un omone grande e grosso, alto quasi due metri che, essendo vittima forse di una macchinazione ordita perfidamente ai suoi danni, delinea magistralmente, con poche ma significative e pregnanti espressioni eccellenti, lo spaesamento e l’impazzimento di un uomo perfettamente sano di mente che, purtroppo, non viene creduto da nessuno. Tantomeno, probabilmente, da sé stesso. Emblematica, memorabile e lapidaria, a riguardo, la frase da lui pronunciata al min. 36:

sa cosa si prova quando si diventa pazzi, dottore? È una specie di guerra combattuta fra quello che ti dicono che sei e quello che tu sai di essere.

Un uomo che, smarritosi fra le intemperie non solo del rigido clima berlinese, perde inizialmente la testa ma poi, convinto di essere stato malvagiamente ingannato, per l’appunto, ricusa ogni delirante patologia appioppatagli da chi lo accusò di disordine mentale da stress post-traumatico, non lasciando affatto perdere.

Insistendo coraggiosamente nella sua irrefrenabile, agguerrita, sempre più potente, giusta battaglia.

Vincerà? Chissà.
Soprattutto, Martin Harris esiste?
Nel cast, in un ruolo centrale e determinante, il grande, compianto Bruno Ganz e Frank Langella.

 

 

d Stefano Falotico

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