Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film
Lost in Berlin
Le reminiscenze della guerra fredda la fanno da padrone in questo thriller, con già qualche anno sulle spalle, del regista spagnolo Collet-Serra: dall’ambientazione berlinese alle tematiche complottistiche, tutto “congiura” nel ricreare un’atmosfera propedeuticamente hitchcockiana, programmaticamente ispirata a “Il terzo uomo” di Reed, al “Frantic” di Polanski o al “Mission Impossible” di De Palma, ma profondamente e inevitabilmente americana nello sviluppo.
Se infatti il proscenio risulta ben caratterizzato, fotografato e gestito nelle molte sequenze action, a latitare è senz’altro l’originalità della trama, pur partendo da uno spunto non nuovo ma interessante e da una risoluzione dello stesso tutto sommato stuzzicante; effetti purtroppo vanificati da una parte finale (inevitabilmente) fracassona che annulla quanto ideato in fase di una comunque sufficiente costruzione drammatica. Mostrando inesorabilmente le lacune, forse non tecniche (la regia ed il montaggio, scolastici, sono alfine gestiti con sicurezza), ma principalmente di scrittura del film.
Croce e delizia del variegato cast selezionato per l’occasione è senz’altro la faccia marmorea, buona per tutte le stagioni, del “giustiziere” Liam Neeson, forse poco credibile nei panni del botanico (sic !) in crisi d’identità ma innatamente a suo agio nelle sequenze movimentate (lui o la sua controfigura). A dargli supporto una svagata Diane Kruger, un po’ “persa” nel ruolo assegnatogli, quale coprotagonista. Entrambi avversati dagli antagonisti poco carismatici tratteggiati da Aidan Quinn e January Jones.
Ma l’ulteriore valore aggiunto della pellicola è rappresentato senz’altro da due comprimari di gran classe: principalmente il granitico Bruno Ganz, veramente carismatico nel tratteggiare un dolente personaggio residuato dell’ex DDR, e in secondo piano il sempre convincente Frank Langella, colpevolmente sottoutilizzato.
Questi gli unici elementi salvabili, a mio avviso, dall’oblio di un lavoro scorrevole ma presto dimenticabile già dopo i titoli di coda che seguono un epilogo approssimativo ed inutilmente consolatorio.
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