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Habemus Papam

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Habemus Papam

di ed wood
8 stelle

Non c'è dubbio che vi sia del genio nel cinema di Moretti. Film come "Il caimano" o "Palombella rossa" erano geniali sin dal loro concepimento, sin dal soggetto. E anche la realizzazione, così ricca di trovate surreali ed immagini potenti, era contraddistinta da fantasia e libertà creativa. Non fa eccezione anche questo "Habumus Papam", che tuttavia non raggiunge, a mio avviso, il livello del Moretti più ispirato, pur meritando certamente la visione. L'inizio è un po' stentato e titubante, così come la parte finale lascia un po' a desiderare; la parte centrale è quella più felice dal punto di vista drammaturgico. Al di là degli alti e bassi che si presentano nel corso dell'opera, credo che il motivo per cui questo film non sia pienamente riuscito stia nello sbilanciamento fra le due principali direttive del copione: la satira anti-clericale e l'analisi della crisi esistenziale del protagonista. A un certo punto, gli sberleffi (ora spassosi, ora gratuiti) del Moretti psicanalista nei confronti dei cardinali cominciano a prendere il sopravvento sulle pene del neo-pontefice, e questo finisce per togliere spessore e drammaticità alla vicenda. Ed è un peccato, perchè si trattava di riflettere sulla tematica fondamentale dell'esistenzialismo: l'identità. Chi sono io? Che uomo si nasconde sotto la maschera che indosso? "C'è differenza fra l'Uomo e il Papa" dice Moretti. C'è differenza fra ciò che è vero e ciò che è apparente, fra ciò che è frutto delle mie pulsioni, istinti, desideri, debolezze e ciò che invece è dettato dalle convenzioni, dai ruoli, dalla parte che il "teatro della vita" mi ha assegnato. Il cardinale Melville, una volta eletto Papa, si rende conto d'improvviso di dover recitare una parte per la quale non si sente preparato. Proprio lui, che sognava di fare l'attore, ma fu scartato dall'Accademia. Per poi essere assunto da un'altra accademia, la più potente e famosa al mondo: la Chiesa. Per recitare altre parti, meno passionali certamente; parti che anzichè offrire uno sfogo catartico, acuiscono la repressione dei propri impulsi. Tutto questo, come detto, c'è ed è sufficientemente approfondito nella parte centrale, in cui Melville si confronta (accolto peraltro con una certa indifferenza) con la società laica. Però si poteva fare di più nell'ultima parte: magari qualche minuto in meno dedicato allo strampalato torneo di volley e qualche incontro/dialogo di Melville in più (mancano personaggi secondari forti, che avrebbero potuto arricchire dialetticamente l'analisi della depressione del cardinale). Abbastanza insipido e fine a se stesso anche il personaggio della Buy, moglie di Moretti, ennesima parentesi familista/narcisista tipica dell'immaginario morettiano. Tutte queste mie critiche costituiscono più che altro un rammarico per quello che avrebbe potuto veramente essere uno dei migliori film italiani degli ultimi decenni e che, invece, resta un'opera brillante, capace di alternare sapientemente sarcasmo e amarezza, ma senza andare troppo a fondo nè in una direzione nè in un'altra. Valore aggiunto di "Habemus Papam" sono le performance dei due immensi Jerzy Stuhr e Michel Piccoli, quest'ultimo commovente nel restituire all'abbacchiato cardinale Melville una dimensione umanamente tragica, un senso di tristezza, rimpianto, ma anche angoscia che pochi altri interpreti avrebbero saputo rendere allo stesso modo.

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