Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Addentrarsi nelle segrete sale del Vaticano permette a Moretti di uscirne abilmente, parlare della chiesa per comporre un umanissimo film laico, colmo di pietas e di ironia, sfruttare le costrizioni della situazione per liberarsi dalla prevedibilità della consapevolezza narrativa. Habemus papam procede per antitesi, scegliendo la sorpresa alla consuetudine ma conciliando gli opposti nella serenità dello sguardo.
Il Papa di Piccoli non soffre di una crisi di fede ma di umanità, non si sente all’altezza della situazione e rimanda l’accettazione del suo ruolo oltre il consentito, letteralmente fuggendo dalle proprie responsabilità per un ultimo respiro a contatto con il mondo esterno e con le proprie paure. Quella metamorfosi improvvisa al termine della vita l’avrebbe rimessa tutta, troppo, in discussione, con l’emergere degli errori e dei rimpianti, e il passato avrebbe sopravanzato la necessità progettuale inscritta nel ruolo di erede di Pietro. Papa Melville accetta la nomina pontificia ma non supera le proprie incertezze, si riconosce una personalità deficitaria per il ruolo di prescelto e l’onestà della lucidità del ritorno alla consuetudine senza abbandonarsi al dogma, abdicando al potere personale per meglio servire l’Istituzione da cui esso promana.
Nella parcellizzazione dei ritratti all’interno dell’unità di tempo della fuga dal conclave si costruisce una galleria di esseri profondamente umani, portati a far emergere i lati più personali nel momento della sospensione dei ruoli canonici. I cardinali sono anziani più o meno brillanti, afflitti da diverse patologie ma mai derisi, soltanto spogliati degli stretti abiti talari e che si concedono anche il lusso del divertimento. L’eminente psicologo, chiuso negli alloggi papali per l’apnea del conclave, cerca di allentare la rigidità della prassi ecclesiale imponendo vezzi personali, organizzando tornei e coinvolgendo nel gioco comunitario gli anziani porporati. L’altra psicanalista si rifugia in formule ribadite, adattate ad ogni contesto, e nasconde affetti dietro alla maschera della consuetudine. Il portavoce del Papa inganna per non tradire fedeli e istituzioni, costruisce ingenui complotti a fin di bene.
Il tocco di Moretti prosegue indomito anche in questo film a forzare l’ironia delle situazioni sino al paradosso, a muovere a commozione con pochi accordi musicali, a cercare la verità dei sentimenti di ogni personaggio a dispetto delle convenzioni, siano esse politiche, professionali o confessionali. Contro ogni dogma, il cinema di Moretti rimane insofferente alle costrizioni (anche di catalogazione), libero e intimamente libertario per cercare quel difficile accordo tra le intenzioni e le ambizioni, tra gli obblighi e le aspirazioni personali, tra la narrazione tradizionale e il diario che spesso, comunque, emerge. Il regista trova per sé, attore, ruoli sempre più dimessi per non appannare i film con la confusione tra personaggio e interprete, ma si premura di non tagliare i rimandi alle altre pellicole e alle sue precedenti incarnazioni giocandoci con sadica (perché spiazzante nei confronti dello spettatore) autoironia.
Ad ogni modo, bisognerebbe arrivare in sala scevri di qualsiasi informazione sul film per poterne appieno apprezzare la precisa costruzione della premessa e la progressiva introduzione dei personaggi.
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