Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Ci sono cose che in Italia non vanno toccate. Una di queste è la santità del cupolone e delle sue arcaiche, a volte oscure, incomprensibili regole. Difficilissimo il compito del professor Moretti cercare una chiave di lettura nella mente del neo Papa in crisi che si rifiuta di esercitare il pontificato. Racconto morale e laico, lontano dalle esacerbazioni emotive del ricattatorio “La stanza del figlio”, questo film ha suscitato le solite discussioni e polemiche preventive, altrettanto oscure e incomprensibili da parte dei difensori della fede, costantemente offesi da qualsiasi cosa che sfiori la dogmatica rigidità della multinazionale più potente al mondo, La Chiesa, dimostrando ancora una volta che i fanatici esistono in qualsiasi religione. Al film di Moretti giova questo clima di ostilità perché la storia è esattamente il contrario di quanto i moderni parabolani vogliono farci credere .
Il cardinale Melville non se la sente, non ce la fa a sopportare la pressione dell’investitura a Pontefice e va in depressione ritirandosi nei suoi appartamenti protetto dall’addetto alle relazioni pubbliche del Vaticano. I cardinali si convincono a chiamare uno specialista per risolvere la questione. Moretti, chiameremo così il suo personaggio perché in realtà non è un personaggio, è di fatto proprio Moretti, non può chiedere al Papa di sesso, di sogni, di mammà. Della sua infanzia invece si ma con discrezione, in pratica tutta la psicanalisi moderna viene estromessa dalla mente in momentaneo conclave privato del pontefice. Incomunicabilità, chiusure a chiave (cum clave) verso l’esterno. Fino al ribaltamento, il pontefice si traveste da uomo e fugge nel mondo, il Vaticano si chiude in se stesso rinchiudendo anche l’uomo libero Moretti, lo psichiatra. Sono molteplici le chiavi di lettura di questo delicatissimo film sulla figura di un uomo che rivendica, con tutta la dignità della resa, le debolezze e le incertezze della vita che la chiusura verso l’esterno aveva sempre edulcorato in false sicurezze mutuate dalla volontà divina. L’unica chiave di lettura che non esiste è l’attacco alla chiesa, paventata da molti. Anzi, Nanni guarda la Cupola con la dolce indulgenza dell’uomo libero da vincoli, umanista e umano che si accorge di come il mondo, tra bookmaker che quotano i cardinali e inetti giornalisti stanziali in piazza, non abbia più a cuore la religione quanto il suo più esteriore manifestarsi. Il peso della responsabilità del pontificato, l’essere visibile per il miliardo di fedeli che attende di conoscere il nuovo Papa, schiaccia le anime dei cardinali già in conclave quando un coro muto di preghiere si moltiplica in preci per scongiurare l’elezione a capo della chiesa e il sospiro di sollievo si trasforma in canto liberatorio per convincere il neo Papa, un grandissimo Michel Piccoli ad accettare l’investitura. Umorismo lieve, sotto le righe. Una messa in scena sobria che esprime il suo massimo proprio all’inizio con i rituali del conclave, fatto di sguardi e rumori, attese e silenzi. Moretti è il grillo parlante laico che entra in contatto con un mondo ripiegato su se stesso ma carico di vitalità inespressa. Gli alti prelati, ritratti come puffi rossi riuniti sotto la cappella del fungo maggiore, orfani del Grande Puffo, sono simpatici e ognuno distinto da un tratto caratteristico, un po’ goffi, mossi da pulsioni umane che tengono sotto controllo con sani passatempi (la cyclette, il puzzle, la lettura) e qualche rinforzino farmaceutico.
Le due storie scorrono parallele, tratteggiate con pennellate lente, descrivendo più il non detto, ciò che sta sotto la storia in sé che il reale svolgimento degli eventi. In realtà il time out è per tutti, una sospensione narrativa nel corso secolare delle trasmissioni di potere, un break di umano sgomento per milioni di fedeli, il limbo paramonastico nel quale lo psichiatra morettiano è confinato senza avere titoli. In questo non-tempo, i personaggi sono in apnea divisi tra ciò che sono e ciò che rappresentano, indecisi se andare a fondo o tornare visibili. Per il breve volgere di tre giorni ognuno è qualcosa d’altro protetto da quel segreto, la clausura, che rende allo stesso tempo prigionieri ma liberi in quella prigionia. Unico vero baluardo di isolamento nel tempo della comunicazione globale e dei reality show.
Terreno prediletto di Nanni che pesca contraddizioni e le amplifica con la sua non-recitazione, una didascalia vivente della scena, attraversata tuttavia senza alcuna acrimonia. D’altro canto l’ottima recitazione di un fragile e dolcissimo Michel Piccoli propone la situazione di uomo prigioniero delle proprie insicurezze in un mondo libero, provocando un doppio speculare efficace e commovente. E’ un bel film, Habemus Papam, maturo e misurato, forse troppo, anche se l’intenzione non era sicuramente quella della farsa verso un mondo alieno. L’estrema leggerezza potrà venire confusa con l’inconsistenza ma la profondità va ricercata proprio nel confronto, nello sguardo del Papa che si ritrova a recitare Cechov con una compagnia d’attori così come nelle morettiane partite a pallavolo tra cardinali. E un finale secco, inevitabile, che rifiuta qualsiasi concessione al climax, ci mancherebbe altro visto il tema. Il film di Nanni Moretti sarà in concorso insieme al film di Sorrentino nell’anno della Palma d’Oro Onoraria a Bernardo Bertolucci. L’Italia s’è desta nel suo 150° anniversario.
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