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Habemus Papam

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Habemus Papam

di nickoftime
4 stelle

Tra realtà e rappresentazione. Da un lato la condizione dell’uomo vissuta all’ennesima potenza, per quel senso di solitudine che da sempre lo attanaglia, e che qui diventa il segno più evidente del suo isolamento esistenziale, dall’altro il suo opposto, per la presenza di un rito collettivo necessario a ribadire un identità altrimenti latente. L’interiorità messa a nudo dalle maschere che dovrebbero rivestirla. L’annuncio del conclave porta a galla la paura di non riuscire a soddisfare le attese, acuendo il divario tra verità e finzione. L’annunciazione della formula cade sull’uomo che ne è oggetto con la forza di un responso inaspettato. Lo va a snidare dal suo dolce torpore per consegnarlo nelle mani del sinedrio. Habemus Papam diventa il maleficio con cui estirpare le ultime tracce di una personalità di cui non c’è più bisogno. Melville, questo il nome del prescelto, non esiste più. Il cardinale è diventato Papa. Ma la nevrosi sta proprio lì, nella dicotomia tra essere e non essere, nel dubbio amletico che la vicenda incarna nello smarrimento del suo protagonista ed esplicita attraverso i tentativi messi in atto per riportare la pecora all’ovile. Il film è tutto qui, perché la “commedia umana” di Moretti non si addentra nei meccanismi del potere, ne perde tempo ad illustrarne le cadute, ma usa l’ambiente ed i suoi orpelli per far parlare gli uomini. E se la politica come passione personale non poteva non coinvolgere, trascinando il suo regista nel guado degli schieramenti e delle opinioni, Habemus Papam camminando in territori  culturalmente noti ma estranei al vissuto dell’artista riesce finalmente a consegnarci un Moretti senza paraventi. In questo senso la matrice autobiografica, imprescindibile nel cinema del regista e punto di forza di un discorso metabolizzato dall’esperienza personale, si ripresenta con maggior vigore nella figura del Cardinal Melville, cinematografica a cominciare dal nome, che pur con i dovuti distingui aggiorna il percorso di un predestinato chiamato come il prelato del film a salvare le sorti di un'altra “istituzione”. “Avrei voluto fare l’attore” dice il protagonista interrogato da chi cerca di scavare nel suo inconscio e poco dopo, nel corso di una fuga che rasenta il sogno, si lascia estasiare dalla malinconica affabulazione di una rappresentazione cechoviana per arrivare ad una sorta di catarsi – il Papa è stato ritrovato ma le sorprese sono lungi dall’essere terminate -  nel teatro in cui si svolge la piece, con i cardinali del conclave finalmente riuniti al loro vate in una ritrovata armonia. Rimandi evidenti ma scontati se non fossero doppiati da una serie di dinamiche e situazioni simili al work in progress di  un set, con il capitano e la sua ciurma, in questo caso il papa e la sua comunità in costante antagonismo ed indirizzate verso direzioni opposte (definizione coniata con altre parole da Federico Fellini), ed ancora nell’ evidenza che il balcone della proclamazione, terminale conclusivo di tale allestimento, altro non sia che la quinta di un grande palcoscenico. E che dire dei vuoti di memoria, dell’improvvisa incapacità di esprimere la pur minima opinione, dell’empasse da prestazione che appartiene al prelato così come, almeno per un momento, a colui che è chiamato a confermare il proprio talento di fronte ad una platea incapace di sopportare il fallimento. Melville diventa allora un Barton Fink morettiano ed a sua volta la proiezione del regista e della propria indipendenza, del diritto di parlare o di tacere, a dispetto degli altri e delle loro aspettative. E se alcune implicazioni sono impossibili da evitare (i riferimenti al ruolo della Chiesa nella società e la messa a nudo dei suoi limiti attuali) è l’andamento del film, che progressivamente si allontana da dov’era cominciato, rifugiandosi nelle strade di Roma e nei luoghi della sua socialità, oppure architettando un gioco delle parti in cui centra pure il metacinema (già attivo con la presenza del teatro come elemento che fa progredire la storia) e che serve ai due protagonisti, il Papa e lo psicologo, un campo d’azione inversamente proporzionale alla loro natura ed al loro credo, con il primo libero di confrontarsi con la gente comune ed il secondo relegato e quasi costretto ad una vita segregata e religiosa.  Le mura del Vaticano e ciò che gli sta dietro si svuotano d’importanza, diventano un luogo della rinuncia, dove nulla si compie, neanche una partita a Pallavolo organizzata dallo psichiatra (un Moretti in versione tragicomica) inutilmente convocato per esorcizzare i fantasmi del Santo Padre. Al contrario è altrove, lontano da Dio, che le cose giungono alla loro conclusione e dove forse la vita può ricominciare. Chiamato a confermare il proprio ruolo, e dovendo fare i conti con il peso di una maturità che è soprattutto una presa di coscienza sull’impossibilità delle Utopie, Moretti sceglie la strada più impervia, non solo per la presenza di un Istituzione religiosa poco incline a guardarsi in faccia con gli occhi di un altro, ma soprattutto per la difficoltà di tenere insieme pubblico e privato, memoria collettiva e diario intimo. Il risultato è un opera indecisa, dubbiosa nello stile (alla sontuosità della messa fa riscontro la semplicità delle inquadrature) e nel suo svolgimento, che risultano piuttosto frammentato, quasi facesse fatica a tenere le cose tutte insieme. Le “famiglie” di Moretti – della psicologa, della compagnia teatrale e dei confratelli - differenziate nelle funzioni ma non nella sostanza, appaiono universi uniti da un arbitrarietà forzata per movimentare una faccenda che rischia di ruotare su se stessa per la volontà di non spiegare. La sospensione del giudizio rende evidenti certe ripetizioni (la sindrome da carenza affettiva ripetutamente spiegata ma anche la trovata di una competizione sportiva portata alle lunghe da un enfasi eccessiva) e fa rimpiangere allo spettatore i minuti rubati al mattatore, quelli in cui il Moretti attore, mani dietro la schiena e camminata filosofica  torna ad essere se stesso, pungente ed efficace nella sua vena dissacratrice. Il clamore attorno ad eventuali mancanze di rispetto è come al solito ingiustificato.

 

 

 

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Ultimi commenti

  1. lorenzodg
    di lorenzodg

    Avevo dato tre stellette...ma leggendo il tuo commento devo convinire che quello che scrivi è anche gran parte del mio giudiziio. Come scrivi si ha la sensazione che il set sia ancora da costruire in alcune fasi (con Moretti come dici 'work in progress') e in altre di raccordo (che confermo le due trovate il 'commediante' da una parte e l''angosciato' dall'altra parte non collimano quasi per nulla). La volontà di non spiegare nulla (per conto di un film che ha un assunto 'assoluto' e 'dirompente') come tu dici (e altri hanno scritto) dà una certa libertà di critica ma nello stesso tempo 'innervosisce' e rende tutto un po' 'laconico' e 'superficiale'. Per mio conto la 'bravura' di Piccoli si perde e viene annacquata da un Moretti un tantino (forse) 'presuntuoso'.

  2. lao
    di lao

    ciao ..io invece sono stato incantato dal balcone vuoto e dal silenzio assoluto...siamo seconodo me in piena novecento con la morte del cinema e dalla poesia..."Non chiederci la parola " diceva Montale...il film motiva cosi con eleganza le lacune da te acutamente notate.

  3. lorenzodg
    di lorenzodg

    Qualcuno ha detto prima di me (scusate se mi intrometto ancora) Moretti da "Caro Diario" (episodio del giro per Roma verso Ostia...tanto per capirci) è meno convincente e anche meno interessante. Mette in gioco gli altri e si vede il suo limite, Il balcone vuoto e il suo silenzio rimangono un'inquadratura più volte 'viziosa' a se stessa e stop. nulla di più. La devastazione del silenzio è spenta prima del nascere. Vero della crisi e del vuoto, dell'agonia e della morte...ma ho visto di meglio e con più coraggio (ma forse Moretti poteva allontanarsi dal set per fare lo spettattore e....dare spazio ad altri??). Film di grande intuizione ma sfruttata non benissimo. Mi scuso per un'altro passaggio.

  4. nickoftime
    di nickoftime

    ...innanzitutto benvenuti a tutti e due e mi scuso ancora una volta per il ritardo della risposta dovuto ancora una volta all'impossibilità di accedere a questo sito, e ciao a tè Lorenzo...sentire con gli occhi...la bellezza del cinema ed in generale dell'arte sta proprio nella libertà dello sguardo...personalmente sarei contento se il film di Moretti fosse un successo...se scavalcasse i nostri confini e si espandesse nel mondo...sarebbe molto bello non solo per il cinema italiano ma anche per noi appassionati...detto questo vedo che abbiamo visto lo stesso film, ma come spesso succede non posso non rimanere altrettanto affascinato dalla visione di utenti come Lao, ma qui l'elenco sarebbe lungo, che scorgono tesori nascosti...come al solito l'unicum è un utopia..un saluto

  5. nickoftime
    di nickoftime

    ...Ciao Lao,
    i poeti hanno spesso il dono di farci rimanere muti...un saluto

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