Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Volontariamente non ho letto il servizio de L’Espresso di qualche tempo fa che anticipava il film. Non l’ho letto perché ogni film di Nanni Moretti per me è un evento che va rispettato religiosamente. Proprio di religione parla l’autore italiano che forse più di tutti è riuscito a creare un culto della propria opera e del proprio essere, attribuendo una cifra caratteristica riconoscibile in tutte le sue opere. Questa cifra accorpa una serie di temi ricorrenti, ossessioni, fisime, chiodi fissi che, celati o palesi, si rincorrono in continuazione e compaiono sulla scena con una regolarità orgogliosamente costante, confermando la complessa personalità di uno degli autori più importanti del nostro cinema. Quei temi, quelle ossessioni, sono sempre gli stessi da anni, ma il rinnovamento dell’uomo Nanni è non solo evidente, ma anche appassionante. Probabilmente, pur avendo diradato la sua attività negli ultimi anni (in vent’anni ha diretto cinque film e ne ha interpretati altri tre – di cui possiamo ben immaginare l’influenza sulla regia), siamo in grado di analizzare Giovanni Moretti in maniera abbastanza oggettiva.
Per esempio, è da Il caimano (ma forse anche nel rigoroso e anomalo La stanza del figlio) che sono convinto del fatto che abbia qualche problema irrisolto di troppo sull’abbandono (si è lasciato con la moglie Silvia) che tenta di esorcizzare attraverso i film che realizza. Non è un caso che ci siano due personaggi in Habemus Papam che tornano sul tema: uno è lo stesso Nanni nei panni dello psicanalista, che non ha superato il trauma della separazione dalla moglie; e l’altra è un’altra psicanalista (Margherita Buy), l’ex moglie, che risolve ogni problema con la diagnosi “deficit di accudimento”. La psicanalisi non è centrale in questo film, non c’è niente di analitico nell’esposizione del racconto: è come se Nanni, a cinquantasette anni, sia giunto serenamente all’idea che può poco persino l’adorata e necessaria psicanalisi di fronte a certe cose.
Quali sono queste cose? Sono cose molto umane, sono cose estremamente umane anche per chi è chiamato ad un compito disumano. È la storia di un uomo cresciuto con una corazza di principi e di valori che si ritrova improvvisamente nudo di fronte all’imprevedibilità della vita. Il regista l’ha chiamata una commedia dolorosa, ed infatti di dolore si parla. Al centro c’è un anziano cardinale dal sorriso malinconico eletto al soglio pontificio che, non sentendosi in grado di affrontare l’immane compito, si ritira in se stesso alla ricerca di qualcosa di sconosciuto. Lo sconosciuto mondo nel quale approda (il mondo normale metropolitano), con tutti i suoi mali, è comunque un mondo di relazioni umane, di rapporti personali, in cui poter coltivare certe piccoli passioni (il teatro ad esempio, amore represso e ricordo della sorella attrice). In tanti anni il nostro Melville non si è mai accorto di poter volere qualcos’altro. Lui non può essere papa perché sa di non volerlo essere oltre che di non poterlo essere, e capisce che l’unica via è la ricerca del sé come autoaffermazione di uomo. Gira in incognito per Roma perché ha un deficit di umanità nel momento in cui gli si chiede di essere divinità. Più che una tragedia, il suo è un dramma di scoperta sui lati nascosti (da troppa stoffa) dell’essere umano, quindi doveroso sorvegliante del seme del dubbio di fronte all’infallibilità che il ruolo pretende. Con una grazia sfuggente, conferendogli un’insicurezza che ondeggia tra la tenerezza e lo smarrimento, l’enorme Michel Piccoli è toccante.
Credo di non sbagliarmi quando definisco Habemus Papam l’opera più matura di Nanni Moretti, che raggiunge un equilibrio stupefacente nel dosare tutte le componenti fondamentali del suo cinema con attenzione, sapienza e serenità, arrivando ad una interessante sintesi fra la sua vena saggistica e quella narrativa. Della prima fa parte certamente lo sguardo sconfortato e sconfortante con cui osserva l’operato dei media (la televisione che vuole fare un totalino sul Conclave, il toto-papa) ed è un discorso che abbraccia qualcosa di universale che va al di là della materia trattata. Della seconda si potrebbe parlare per ore, avendo costruito una storia difficile, ambiziosa ed originale che raramente ci capita di vedere al cinema (Piccolo e Pontremoli l’assistono in sceneggiatura). C’è poi da dire che Nanni ha preso alla lettera una battuta che Dino Risi fece anni fa (“Moretti, levati che devo vedere il film”): non compare molto, è quasi assente, si ritaglia un ruolo da non protagonista che copre il filone umorista del film con battute ad effetto e situazioni irresistibili.
È francamente divertentissima la commedia che il regista voleva fare da anni (come confessava, tra il serio e il faceto, ne Il caimano: “è sempre il momento di fare una commedia”): l’apice assoluto quando gioca a Scopa con i cardinali, ma anche il torneo di pallavolo e il primo incontro con il Papa entrano di diritto nell’antologia morettina (e qui il merito va anche ad attori sopraffini come Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile e tanti altri). E per quanto possa sembrare quasi disomogenea la struttura (tormento per le vicissitudini del Papa da una parte e organizzazione del cazzeggio dei cardinali dall’altra), è prima del finale che capiamo il vero problema che si pone il film: il problema della riflessione sulle responsabilità dell’uomo, vissuto con patimento da Melville e dimenticato dai prelati in libero sfogo (che tra l’altro sono anche dipendenti dai tranquillanti). È un film laico ma non laicista, molto rispettoso e mai offensivo, perfino dolce nella gravità delle sue tematiche. Quando riecheggia Todo cambia acquista anche una sua armonia eterea e per un attimo sente davvero il contatto con l’aldilà. Sinceramente, penso che Habemus Papam sia uno di quei film che ti mettono in pace con la vita perché è proprio il suo autore ad essere in pace con il mondo; detto più semplicemente un capolavoro.
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