Regia di Laura Luchetti vedi scheda film
Convinto di assistere ad una delle rare storie d'amore del cinema italiano, mi siedo tranquillo per vedere Febbre da fieno. Oddìo, già il titolo è preoccupante: mi richiama alla memoria esercizi vanziniani di qualche (poco) tempo fa. Magari, forse, è proprio quello che volevano gli autori (la regista e i produttori, per inciso i De Angelis e Massimiliano Di Ludovico): cosa non si fa per attrarre pubblico! Prescindo dalla storia, che riassumo di sotto brevemente, parlerò del film sensu strictu. Detto che Matteo (Andrea Bosca), mollato dalla ragazza, scoprirà l'amore con Camilla (Diane Fleri), mi limito ad osservare come Laura Luchetti, la regista, non è una ragazzina e ciò l'aiuta. Perchè nel film che sceglie di raccontare c'è del vissuto: l'aria di Roma, inquadrata da angolazioni ora turistiche ora intimistiche, l'adesione spirituale ad un mondo (trenta-quaranta anni prima...) che non c'è più, la storia d'amore sofferta e il rimpianto per ciò che si è perso. L'opera è tuttavia sbilanciata: da una commedia appena agrodolce, si trasforma in dramma. E lo fa in maniera eccessivamente repentina, mentre avrebbe avuto bisogno di più tempo per raggiungere questo risultato. Commette poi due errori: primo, affida la voce narrante a Camilla, che non è la vera protagonista (Matteo giganteggia) e lascia così disorientato lo spettatore. Infine, pur di cercare l'originalità a tutti i costi, cerca tra le pieghe della narrazione, un messaggio che non c'è. In tal senso, adotta un cromatismo non idoneo al racconto, e, pur se la musica appare innovativa, non risuona come contrappunto necessario (si pensi alla Nouvelle vague, cui in parte Febbre da fieno si ispira, con le passeggiate ponentine) a suggerrire e non ad invadere uno stato d'animo. Cerca, dunque, la facile commozione (quando non l'identificazione con il personaggio) a tutti i costi, nel perfetto stile Disney (che coproduce il film). Pessima, poi, la scelta del negozio: sembra di essere nello shop di magia che fu dei telefilm di Buffy o Streghe (...), che allontana l'idea italiota dell'esercizio commerciale (il Twinkled, così è chiamato il negozio, "dà una seconda opportunità alle cose appartenute al passato che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio"). Si noti, tra l'altro, come il personaggio della "scrittrice di lettere d'amore impossibili", Franki (Giulia Michelini, l'unica appena un pò più nota), faccia la skater (???), che sa tanto di americano posticcio.I dialoghi, più futili di quanto si pensi ("..sai una cosa? Io non mai capito un cxxx della vita"), lasciano a volte interdetti perchè segnano con età diverse gli attori, i costumi più imposti da un'idea che dalla necessità del quotidiano (e chi metterebbe indosso un bomberino stile coperta come Matteo, oggi? Mah...), le scene talora eccessive (il Maxxi, il museo completamente vuoto), non aiutano la memoria a collocare i giusti tasselli disseminati nel corso della pellicola (qui di celluloide si tratta: il formato scelto è il 35 mm). Ci si chiede sempre (e faticosamente) perchè succede questo o quello, senza vera spiegazione e nesso logico. Il che, intendiamoci, può essere un pregio. Ma diventa artificio se la logica è invasa da buchi ddi sceneggiatura clamorosa (i personaggi non "si" risolvono, nel finale). Mancando di catarsi, allora, il film brucia senza una vera, forte idea, la narrazione e rende incompleta la visione. Il senso del cinema è evidente, ma lo stile non è dissimile da quello televisivo (ah, Disney, ma non dimentichiamo che la Luchetti ha lavorato per un quinquennio tra le scartoffie della Miramax...): quando un film -si pensi ad Elephant di Van Sant, o a Primo amore di Matteo Garrone, solo per citare i primi due che mi vengono in mente - ha una struttura ondivaga, la ricerca personale (inquadratura sbilanciata quando necessaria e non fine a sè stessa, fuoco sui secondi piani anzichè sui primi, raddoppio del sonoro, studio del dialetto, montaggio ellittico) è essenziale. Qui, invece, sembra che la regista vi abbia abdicato. Aggiungo, e concludo, che non aiuta neppure una locandina poco studiata e troppo chiassosa per attrarre veramente pubblico. Un film (romantico a metà) per pochi, dunque. Anzi, per pochissimi.
C La giovane Camilla si innamora di Matteo che, però, pensa ancora alla sua ex, Giovanna, che l'ha lasciato per una donna (!!).Matteo e Camilla lavorano in un negozio di modernariato e abiti vintage (Elvis...!): Proprietario del negozio è Stefano, indebitato fino al collo (ma un'attività così mica poteva rendere...), in crisi (ti pareva strano) con la moglie. Nel negozio c'è anche Franki, che scrive lettere d'amore a (nientemeno) Jude Law, perché così se non risponde “fa meno male”.
E Matteo, scoprirà cosa può fare l'amore quando meno te lo aspetti...
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