Regia di Guillem Morales vedi scheda film
Nella settima arte, il gioco dell’invisibilità è una sfida riservata a pochi. Mostrare ciò che non si vede è difficile quanto nascondere ciò che si vede, a meno che non si decida di ricorrere ai soliti espedienti dell’effetto speciale, che riproduce il contenuto dell’immaginazione, e dell’inquadratura ritagliata ad hoc, che restringe volutamente la visuale. La tecnica di Guillem Morales non si spinge oltre questi banali accorgimenti tecnici, che contravvengono ai più elementari principi narrativi su cui si basa il racconto giallo, in quanto essi, anziché sviare l’attenzione dello spettatore, indicano esplicitamente i punti in cui si cela la chiave del mistero. In tal modo la storia prende le sembianze di un mosaico coi buchi, col quale, prima o poi, andranno di sicuro a ricongiungersi i frammenti mancanti: a ciò si riduce, purtroppo, l’aspettativa creata da una regia che, per creare la tensione, crede di dover formulare le domande in maniera mirata, precisa e circostanziata. Alcuni degli interrogativi sono talmente circoscritti da ammettere una risposta in termini di sì o no: il marito di Julia è stato l’amante di sua sorella Sarah? Ed è lui il suo assassino? Ed è veramente morto? Un film ispirato alla cecità dovrebbe essere dominato non dalla visione incompleta, bensì dalla totale oscurità, e restituire quindi un quadro più sfuggente e confuso, immerso in un’incertezza angosciante e indefinita. Qui, invece, tutto appare disegnato con rigore matematico, e – ciò che è ben più grave - il confine tra realtà ed apparenza è tracciato con la fine lama del rasoio. A fronte di tanta geometrica nitidezza stona la svolta del finale, che, con la comparsa di un sinistro deus ex machina, appiccica alla storia un colpo di scena incoerente ed improbabile: una soluzione che azzera d’un tratto tutto lo sviluppo precedente, mancando totalmente di renderne ragione. Con Los ojos de Julia Guillem Morales tenta un impasto di dramma e thriller che si richiama vagamente alla scienza (alla medicina, all’astrofisica), ma, di fatto, produce soltanto un tiepido viaggio attraverso i generi, che è troppo preoccupato del proprio aspetto estetico per fare davvero pulsare l’anima del cinema.
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