Regia di Mikael Håfström vedi scheda film
Questa la video-recensione gigionesca. Oserei dire giullaresca. In tempi di quaresima, no, quarantena, questo è il film che fa per voi. Per me, non lo so. Per molti anni infatti fui monastico, forse solo iconoclasta. Ah ah.
Il ritratto iconografico di un uomo sfigato, sfigurato, indemoniato, sfregiato, crocifisso o forse solo appeso a un chiodo, cioè il mio giubbotto di pelle. Fui sul punto di sfiorare la santità. Invero, persi la mentale sanità. Ma la recuperai, sì, diventando superiore a ogni monaca di clausura e battendo pure ogni monco. Adesso, anche le donne angelicate vogliono possedermi ma continuo a preferire Maruschka Detmers di Diavolo in corpo a L’ora di religione.
https://www.youtube.com/watch?v=owbg0Cp_KIU&t=488s
Facciamo i seri!
Ma aggiungerei questo. Conobbi molti psichiatri. Sono fissati con la schizofrenia. Per forza, la loro moglie è posseduta dai loro pazienti più deliranti.Gli psichiatri fanno credere loro di essere pazzi quando in verità vi dico che vogliono solo sedarli, altrimenti chiederebbero il divorzio, da soli impazzirebbero e comincerebbero a seguire le repliche di Gabriele Amorth.
Questa battuta o la capite o siete da manicomio come il fratello della co-protagonista di questo film. Internato a 19 anni.
Oggi, recensiamo una pellicola piuttosto recente. A nostro avviso, leggermente sottovalutata dalla Critica, ovvero Il rito di Mikael Håfström (1408).
Il rito dura un’ora e cinquantotto minuti e fu distribuito, tramite la Warner Bros, sui nostri schermi l’11 Marzo del 2011.
La sceneggiatura è di Michael Petroni ed è ispirata (suggested by...) al libro saggio di Matt Baglio, cioè The Rite: The Making of a Modern Exorcist, da noi tradotto ne Il rito. Storia vera di un esorcista di oggi.
Trama:
Michael Kovak (l’esordiente al lungometraggio Colin O’Donoghue) è un giovane statunitense che lavora per suo padre Istvan (il compianto, grande Rutger Hauer), impresario di pompe funebri.
Per emanciparsi dalla tradizione di famiglia piuttosto macabra, funerea e cimiteriale, controvoglia s’iscrive in seminario. Michael non possiede alcuna vocazione religiosa ma, durante una notte lugubre e tempestosa, assiste una ragazza scampata, per miracolo, a un grave incidente stradale.
Il suo mentore spirituale, Padre Matthew (Toby Jones), assistendo all’evento, rimane impressionato dal modo graziosamente caritatevole e fino col quale Michael s’approcciò alla ragazza, consolandola e benedicendola con parole di estrema, profonda delicatezza.
Al che, stupefatto e commosso dalla spiccata, forse innata indole di Michael per le persone disperatamente angosciate, lo dissuade dall’abbandonare il suo percorso ecclesiastico, raccomandandolo invece, come rappresentante speciale della diocesi, a Lucas Trevant (Anthony Hopkins).
Un prete ritiratosi a vita privata che, a Roma, esercita la missione di esorcista. Da lui praticata nella segretezza spettrale della sua fatiscente casa immersa, forse, nella quietezza e nel buio misterico e ancestrale non soltanto della città eterna per antonomasia, bensì metaforicamente nelle viscere dell’eremo, potremmo dire ermetico e persino dogmatico, del suo cuore tenebroso di uomo afflitto da una perpetua fede perennemente, religiosamente tormentata. Interiormente combattivo contro ogni ateo e indefesso, caparbio sostenitore del suo dubbioso eppure inscalfibile, permanente credo religioso granitico e incrollabile. Anche forse infallibile...
Trevant è infatti convinto, malgrado le perplessità e lo scetticismo della medicina psichiatrica, che il diavolo esista realmente e che davvero, in molti casi di ragazze possedute, nelle loro menti e nelle loro anime sconvolte, non risiedano ragioni di natura psicologicamente perturbante. Sì, secondo lui, il maligno alberga viscidamente in loro e se ne celi con scaltra, pericolosa malizia. Quindi, a suo avviso, gli scompensi delle donne e anche degli uomini affetti, potremmo dire, da deliri demoniaci, fermamente non credo che siano spesso razionalmente e scientificamente spiegabili.
Intanto Michael, nel frattempo ancora incredulo e miscredente, incontra una giornalista, Angelina (Alice Braga), giunta nella capitale per prendere informazioni da vicino, facendo ricerca sul campo, come si suol dire, riguardo lo strano, occulto fenomeno dell’esorcismo. Frequentando, d’altronde come Michael, le lezioni a riguardo, tenute dall’inquietante Padre Xavier (Ciarán Hinds, religioso ambasciatore in Silence e il suo ruolo, per l’appunto di Mefisto in Ghost Rider - Spirito di vendetta, probabilmente docet).
Ovviamente, nell’ultima mezz’ora, a Michael salteranno molte certezze poiché verrà divinamente messo alla prova quando lui stesso sarà costretto a esorcizzare il suo maestro.
Ecco, Il rito è un film mediocre, certamente. Ma, come scrittovi a inizio recensione, le bassissime medie recensorie piovutegli addosso impietosamente, ai tempi della sua uscita nelle sale, col senno di poi c’appaiono ingiustificate e del tutto ingrate. Diciamo, furono superficiali ed esagerate.
Poiché Il rito, a dispetto di molte banalità e di alcune gratuite scene ad effetto piuttosto scontate, può vantare una bella, suggestiva scenografia e può avvalersi, come soventemente accade, di un Hopkins in ottima forma gigionesca e carismatica. Il cui ruolo sarebbe da confrontare, di parallelismi meta-cinematografici, col suo meraviglioso papa Ratzinger de I due papi.
Il suo Trevant, peraltro, è una sorta di versione religiosa, antipsichiatrica del suo celeberrimo cannibale Hannibal Lecter. Come sappiamo, freddo, analitico e spietato esploratore dell’animo più antropofago e carnale, sottile, perfido e viscerale indagatore perfino del suo corpo e della sua psiche totalmente sconsacrata, elevata, intellettuale ma anche animale.
Inoltre, la tetra fotografia di Ben Davis non è quasi mai da cartolina. Come invece purtroppo accade coi film stranieri girati nel nostro Paese.
Il rito mantiene anche un buon ritmo e, in più punti, sa intrattenere con dialoghi intelligenti, inchiodandoci alla sua visione con una ben distillata tensione.
Il rito è un film che merita un’immediata, ampia rivalutazione.
L’unico, vero difetto vistoso che possiamo imputargli è sinceramente quello di avere, nel suo eterogeneo e multinazionale cast, Maria Grazia Cucinotta. Presenza qui, come non mai, puramente accessoria e inutile, per di più mal utilizzata.
La Cucinotta interpreta, con pochissime battute all’attivo, Andria. Vale a dire la madre di Rosaria, la ragazza indemoniata, incarnata invece dalla brava Marta Gastini.
di Stefano Falotico
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta