Regia di Mikael Håfström vedi scheda film
Ogni volta che ho notizia dell'uscita di un nuovo film horror mi assale la curiosità. Avendo frequentato con costanza negli anni il genere, spero sempre di confrontarmi con qualche piacevole sorpresa. Il che purtroppo accade con sempre minore freguenza, anche se la delusione ha connotati fisiologici, dato che il genere è ormai consunto, nel senso che forse è già stato raccontato proprio tutto. Capita talvolta che l'euforia si trasformi in piacevolezza quando si assiste a qualche forma (anche vaga) di "rinascita", come quella ad esempio di un manipolo di cineasti francesi che in tempi recenti hanno contribuito ad apportare nuove significative energie. Ci sono poi sottofiloni che mostrano particolarmente la corda, e uno di questi è senza dubbio quello degli esorcismi, filone che ogni tanto qualcuno cerca di riportare in vita, quasi sempre con pessimi risultati. A volte accade che diventi più importante il "come" (lo stile) del "cosa" (il contenuto, la vicenda). Posso citare l'esempio di un altro horror visto pochi mesi or sono, l'americano "L'ultimo esorcismo", che raccontava una banale storia di possessione ma ciò che lo rendeva apprezzabile (oltre a dei discreti attori) era lo sfondo: una Louisiana tetra e minacciosa, con le sue campagne e paludi, i suoi paesaggi immobili e spettrali. Insomma un clima generale che funzionava. E guarda caso, come nel film che vado ad esaminare, il protagonista era un sacerdote che rincorreva una fede fortemente vacillante. Ma se là lo scenario era una raggelante Louisiana, qui dove ci troviamo? Praticamente a casa nostra, a Roma. E in particolare la Roma del Vaticano, dei prelati e dei grandi misteri della Cristianità. Peccato che le immagini di questa Roma non riescano a trasmettere quell'inquietudine che evidentemente il regista svedese aveva pianificato. Roma notturna, buia e piovosissima. Gravida di minacce e di segreti inconfessabili. Roma esoterica e popolata di demoni. Suggestivo, vero? In verità non tanto, perchè una regia non all'altezza non riesce a valorizzare il fascino del senso di mistero che una tale location sembrava poter garantire. Ed ecco che tutto assume i contorni della banalità, della inesorabile celebrazione di un già visto che sconfina pericolosamente in un immaginario da B-Movie. Qui sta il punto. "L'ultimo esorcismo" era tutto fuorchè un'opera pretenziosa, che però faceva affiorare qua e là dettagli che la impreziosivano. Qui accade il contrario. Siamo di fronte ad una pellicola di qualche pretesa, peraltro veicolante certi pensieri "alti" (e un pò tronfi) che vorrebbero quasi incutere timore allo spettatore, nel senso di congetture filosofiche-teologiche. Personalmente ho ravvisato in questo armamentario teorico molta fuffa. Una lotta tra il Bene e il Male elaborata attraverso teorie piuttosto "lambiccate" e scarsamente credibili, roba difficile da prendere sul serio e da poterne trarre brividi genuini. Come dicevo, si respira spesso l'aria da B-movie. Ipotesi questa alimentata anche dalla commistione tra l'anima americana del film (produzione, sceneggiatura e regia) e quella italiana (location e parte del cast). E' infatti curioso riconoscere in piccolissimi ruoli (quasi comparsate) attori come Cecilia Dazzi e Giampiero Ingrassia, ma soprattutto una inutile (ops!) Maria Grazia Cucinotta. Sto per arrivare al nocciolo della questione. E cioè al contrasto (che io ho trovato quasi insostenibile) tra uno sfondo rabberciato, cioè quello di una Roma oscura rappresentata in modo discutibile, e la statura imponente di un Anthony Hopkins, il quale non fa che dare spettacolo, strabuzzare gli occhi, guardare verso punti sconosciuti, raccogliersi in cupa introspezione e insomma tutto il suo repertorio di posture ed espressioni che conosciamo molto bene, almeno fin da quando questo magnifico istrione vestì i panni di Hannibal Lecter. Proprio di recente mi è capitato di polemizzare (civilmente) con chi aveva utilizzato il termine "gigione" per definire le ultime due immense interpretazioni di Jeff Bridges e Christian Bale. Per dire che, anche se questo film non mi ha granchè soddisfatto, io non mi sogno di definire sbrigativamente Hopkins un "gigione": lui è un grandissimo attore, sicuramente uno dei migliori viventi. Ma c'è un problema. Un attore super bravo come lui, uno che si porta dietro un rodatissimo repertorio di infinite possibilità espressive, quando si trova a recitare in una specie di B-movie, il risultato è uno strano corto circuito...sembra quasi (per dire) di assistere ad una performance shakespeariana che però viene rappresentata in un sottoscala, generando un effetto straniante che può anche irritare. Spreco di talento? Viene da chiedersi cosa può portare un Maestro come Hopkins a saltabeccare da un Woody Allen a un film irrilevante come questo. Ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano e che finirebbe col richiamarci inevitabilmente le ultime tristissime gesta italiane di De Niro (anche se Bob sotto questo aspetto è ridotto molto peggio del suo collega!). Sorvoliamo poi su alcune trovate visive che vorrebbero fornire spunti di inquietudine e che invece appaiono solo bislacche: un cavallo dagli occhi di brace, tanti simpatici ranocchietti che invadono la scena, e gatti dall'aspetto lurido che zampettano ovunque. Metafore? Simbologie? Boh. Da segnalare, per chi cerca le scene madri in classica chiave "vade retro Satana!" (che sono poi il sale e il pepe di questo filone), che tali circostanze non mancano. Sono infatti presenti tre o quattro sequenze di esorcismo che rispondono per filo e per segno ai dettami imposti dal genere. Anche se va detto che la sequenza finale è talmente "gonfiata" da risultare insieme potente ma anche estenuante nella sua teatrale prolissità: spettacolare e nel contempo cialtronesca. Come già accennato si registra poi questa supponente esibizione di teorie filosofico-teologiche piuttosto confuse. Il tutto con uno stile che pesca un pò da Dario Argento, un pò dai classici del cinema di esorcismo, e un pò dall'esoterismo alla Dan Brown. Quanto al cast, parliamone, fatta salva ovviamente la potente performance del solito Hopkins. Perfino un volto noto di Hollywood come Toby Jones (è stato un celebre Truman Capote, qualche anno fa) qui fa una figura poco dignitosa e sembra quasi in prestito. Della Cucinotta si può solo dire che quei due (massimo tre) minuti in cui la vediamo le sono sufficienti per farcela apparire involontariamente comica. Anche il mito Rutger Hauer sembra spaesato e fuori ruolo. Va detto che pare il film sia stato apprezzato dalla Chiesa e si può ben capire il perchè, se consideriamo che il giovane diacono protagonista la cui fede aveva vacillato, alla fine vedrà trionfare la propria vocazione al sacerdozio. Frase chiave del film, rivolta dal decano esorcista al giovane seminarista in crisi di fede: "Scegliere di non credere al diavolo non ti proteggerà da lui" (personalmente avrei replicato "ma non mi dire!"). Allora siamo intesi. Se un giorno scoprite che qualcuno in famiglia è posseduto da un demone, non vi perdete d'animo e chiamate Padre Lucas, che arriverà in pochi minuti preceduto dal giovane assistente diacono Kovac, e con in mano la l'immancabile borsa da lavoro dalla quale non estrarrà conigli ma bensì qualche viscido ranocchietto. Però, mi raccomando: alla fine fatevi rilasciare la fattura.
Voto: 6
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