Regia di Rob Letterman vedi scheda film
Versione aggiornata e per famiglie del quasi omonimo classico (I viaggi di Gulliver) firmato da Jonathan Swift nel 1726, riveduto e corretto pochi anni dopo. Lemuel Gulliver non è una persona di mezza età, di classe borghese, versata nella medicina e nella conoscenza delle lingue con una grande passione per i viaggi, è Jack Black (quello di School of Rock, per intenderci), addetto alla posta di un quotidiano di New York. E la pellicola firmata da Rob Letterman (Shark Tale, Mostri contro Alieni) non ha niente a che spartire con la riduzione del 1939, tantomeno con quella del 1960, non un capolavoro ma pur sempre un’avventura fantastica arricchita dagli effetti speciali di Ray Harryhausen. Gulliver è un uomo senza talenti, per conquistare la collega Darcy (Amanda Peet) se ne inventa uno, fingendosi promettente giornalista e viaggiatore. Spedito alle Bermuda, è vittima di una tempesta, e al suo risveglio si ritrova legato come un salame e circondato da un esercito di minuscoli lillipuziani. Sin qui demenziale, poi fiabesco alla Come d’incanto, tra principesse e fortezze da espugnare. A Lilliput, Jack Black è un gigante coinvolto in assurdi intrighi di palazzo da una galleria di personaggi piuttosto impietosa. Un fritto misto poco appetitoso, in cui spicca una sola idea: Gulliver può raccontare di sé ogni cosa, può romanzare il suo passato citando tutto, da Guerre stellari al più recente Avatar, ma alla lunga l’unica trovata stanca. Nessuno si aspettava sagaci sottotesti (per Swift, ogni viaggio è un pretesto per irridere, di volta in volta, il sistema giudiziario, i meccanismi del potere o la politica bellicista). Ma il risultato è comunque inaspettato. Né si ride, né ci si diverte, la presenza del 3D è ingiustificata, e il film potrebbe guadagnarsi il premio di peggior live action di questi nostri tempi. Eppure resta la curiosità di vederlo nella versione originale. In quella nostrana, i lillipuziani parlano un improbabile dialetto simil emiliano. Mistero e colpo di grazia.
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