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I fantastici viaggi di Gulliver

Regia di Rob Letterman vedi scheda film

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La recensione su I fantastici viaggi di Gulliver

di AlexPortman80
2 stelle

Voto: 3/10. Nonostante il titolo di fantastico in questo film c’è davvero poco: l’unico ingrediente di cui si è abusato è la fantascienza, tanto che a confronto le saghe di “Star Wars” o “Star Trek” sono documentari da SuperQuark. Di viaggi invece ce ne sono stati sicuramente molti, in particolare degli sceneggiatori (Joe Stillman e Nicholas Stoller) durante la fase di “scrittura” tanto che, al loro ritorno, hanno mandato il loro compito in bianco ai produttori (fra i quali lo stesso protagonista Jack Black, “convinto” dal progetto…) che, inspiegabilmente, hanno dato l’ok pensando di fregare il pubblico. Forse ci possono essere riusciti nella fascia 0-6 (mesi, magari fossero anni), ma immagino che già i piccoli alle prime parole se ne siano accorti: dopo “mamma” arriva subito “cosa mi hai portato a vedere? Dammi i puffi!”. Ad essere sincero, però, devo dire che c’è anche una componente thriller: la pellicola inizia con degli originali titoli di testa che non lasciano presagire assolutamente nulla della tragedia che sta per piombare addosso all’ignaro spettatore, più o meno come la tromba d’aria in cui viene coinvolto il protagonista Gulliver (e nella quale si spera, invano, venga risucchiata l’intera pellicola, sostituendola con un più avvincente segnale orario). L’illusione però dura pochissimo… Il protagonista, Lemuel Gulliver (J. Black), è il fattorino di un quotidiano della grande mela, nella cui redazione lavora Darcy (A. Peet) di cui si è infatuato. Tra i vari maldestri tentativi di abbordarla, finisce per accettare la proposta di scrivere un articolo sui misteri che avvolgono il Triangolo delle Bermuda. Arrivato sul posto, viene travolto con la sua barca (stile Clooney in “La tempesta perfetta”) da un tornado e finisce a Lilliput, regno popolato da esseri umani in miniatura… A questo punto della storia, 1, Jonathan Swift si rivolta nella tomba e, 2, la tentazione di abbandonare la sala è già fortissima, ma si cerca di farsi forza (sperando che qualcosa possa migliorare) pensando ai quattrini che pochi minuti prima sono usciti dal portafoglio con un biglietto di sola andata. Invece il regista, Rob Letterman, non bada a spese (budget di 120 milioni di $) per infierire sul già provato pubblico: agli ingredienti, indigesti, presenti fin dai primi minuti (tra cui spiccano dialoghi “edificanti” stile fiction-da-prime-time-per-famiglie, talmente banali che a confronto quelli del Gf sono da Accademia della Crusca) si aggiungono, in abbondanti dosi: trama scontatissima priva di qualsiasi snodo narrativo, effetti speciali appiccicati con lo sputo, personaggi insulsi e caricaturali abbozzati con una penna senza inchiostro e una messa in (o)scena priva di guizzi e originalità. Risultato: il divertimento latita, la rabbia no. Il principale e definitivo colpo di grazia (oltre al siparietto danzereccio pre-finale in stile bollywoodiano declinato ad un Black rockeggiante), un’esclusiva per l’Italia, è il doppiaggio: davvero incomprensibile (anzi no, purtroppo) la scelta di far parlare i lillipuziani con un dialetto simil-bolognese, tra cui spuntano le voci dei “Turisti per caso” di Rai3 S. Blady e P. Roversi. I tre punti della mia valutazione sono dovuti a: i titoli di testa, la presenza (per ragioni alimentari) della brava (ma altrove) Emily Blunt nel cast e per la durata (inferiore ai 90 minuti).    

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